Buttato nel bidone dell’indifferenziata, il proverbiale calzino bucato diventa un rifiuto vero e proprio, destinato alla discarica e all’inceneritore. Se correttamente conferito in un cassonetto della raccolta differenziata per i tessili, sarà recuperato e trasformato. Inizierà una seconda vita. Ma spesso i cittadini non lo sanno, anche perché ben poco informati dai loro Comuni. È quanto emerge dalla nostra doppia indagine, che da un lato è andata a verificare come si sono organizzati su questo fronte 10 Comuni delle città più popolose d’Italia, dall’altro ha sondato come viene gestito lo smaltimento di abiti e tessuti da chi vive in quei Comuni, coinvolgendo gli iscritti alla nostra Community di ACmakers.
Indifferenziata o rifiuti tessili?
Chi non ha mai buttato almeno un calzino (ma anche biancheria intima, vestiti in cattivo stato, borse, scampoli di stoffa...) nel bidone dell’indifferenziata? Quasi nessuno. E quasi mai (si spera) per pigrizia o noncuranza, bensì per incolpevole ignoranza. Pochi, infatti, sanno che tutto il tessile - non solo l’abito in buono stato - si può, anzi, si deve differenziare. Lo suggerisce la regola aurea dell’economia circolare e lo sancisce la legge 116/2020, che dal 2022 obbliga i Comuni a raccogliere tutti rifiuti tessili, anche quelli meno nobili, che possono essere riutilizzati per produrre pezzame, fibre tessili, materie prime seconde, filati e, nel peggiore dei casi, energia. Eppure, ancora oggi Comune che vai, modalità di raccolta che trovi.
In attesa che l’onere dei rifiuti tessili passi (finalmente) ai produttori
Anche se si avvicina l’approvazione a livello europeo della proposta di revisione della direttiva quadro sui rifiuti, che imporrà a tutti i Paesi Ue di chiudere il 2025 con almeno il 50% dei tessili riciclati o preparati per il riuso, ancora oggi mancano precisi obiettivi di raccolta, ma soprattutto un sistema in grado di sostenere economicamente l’oneroso recupero dei tessuti meno remunerativi. E l’unico sistema possibile è la cosiddetta “responsabilità estesa del produttore” (EPR), ovvero il principio che impone ai produttori l’obbligo di occuparsi dell’intero ciclo di vita dei prodotti, incluso l’onere di finanziarne lo smaltimento a fine vita.
L'Italia non ha ancora introdotto l’EPR per i rifiuti tessili, ma presto sarà costretta farlo per adeguarsi alla normativa europea, in fase di approvazione da parte delle istituzioni Ue. Nel frattempo, in mancanza di questa normativa e dei dettagli sul contributo REP, che andrà a finanziare la raccolta e lo smaltimento, l’attività dei Consorzi creati per gestire la raccolta dei tessili è bloccata per la mancanza di questi fondi e la “prevenzione” dei rifiuti resta l’opzione migliore: meno se ne produce – riciclando, riparando e riutilizzando – meglio è. Prevenzione significa anche informazione. Un cittadino ben informato sulla raccolta differenziata del tessile sarà invogliato a essere più virtuoso e non commetterà meno errori involontari. Ma, come emerge dalla nostra indagine che ha coinvolto i 10 Comuni italiani e la nostra community di ACmakers, la comunicazione da parte dei gestori non è sempre chiara e, talvolta, è addirittura scorretta.
Caro Comune, come gestisci la raccolta dei rifiuti tessili?
La nostra indagine è partita in primavera. All’inizio di giugno abbiamo scritto a chi gestisce la raccolta dei rifiuti dei 10 capoluoghi più popolosi d’Italia chiedendo come si sono organizzati e quale comunicazione offrono ai cittadini del loro Comune. Ci hanno dato una risposta solo Roma (esaustiva) e Bologna (stringata). Ma noi comunque abbiamo analizzato le informazioni presenti sui siti dei gestori, ovvero quelle che noi tutti consultiamo quando abbiamo un dubbio su dove smaltire un rifiuto tessile. Alla luce del fatto che la legge obbliga a differenziare nei cassonetti ad hoc tutti i tessuti (biancheria compresa), in buono o cattivo stato, rileviamo che spesso questa informazione manca o è addirittura sbagliata, laddove viene indicato di smaltire un tessile nell’indifferenziata (vedi la tabellina qua sotto).
La cartina al tornasole della qualità di questa comunicazione sono state le risposte al questionario inviato agli ACmakers residenti in quei 10 Comuni, focalizzato sul modo in cui percepiscono e gestiscono lo smaltimento di abiti e tessuti usati.
Cittadini non indifferenti alla raccolta differenziata
La stragrande maggioranza dei 1.000 intervistati con ACmakers - la community che partecipa in prima persona ai nostri test e alle inchieste - sa che il settore dei tessili rappresenta un problema ambientale. E riconosce il valore di un abito ancora in buono stato che non utilizza più e che donerà, venderà o porterà in un cassonetto dedicato. Ma se il vestito in questione è, invece, in cattivo stato? Solo un partecipante su tre sa che va comunque conferito con il tessile, un terzo fa down-cycling trasformandolo in stracci, ma uno su cinque lo butta nel bidone dell’indifferenziata. Non per negligenza, bensì per ignoranza.
Alcuni confessano di non conoscere questo tipo di raccolta, altri non sanno che il tessile è riciclabile. Allargando il campo alla biancheria della casa, si allarga anche la schiera di chi ignora che questi tessuti hanno diritto a un destino migliore dell’indifferenziata. Alla domanda: “Secondo te, cosa si può mettere nei cassonetti per la raccolta del tessile che si trovano per le strade?” solo 2 intervistati su 10 rispondono in modo corretto: abiti e biancheria della casa in qualunque stato. A riconferma di quanto sia radicata la convinzione che solo tessuti e accessori ancora in buone condizioni meritino una seconda vita. Non è superfluo, allora, un piccolo ripasso sulla corretta gestione dei rifiuti tessili, schematizzata qui sotto.