In un’alimentazione equilibrata, pensata per mantenersi "sani come pesci", il cibo che arriva dal mare è un elemento imprescindibile: per questo i nutrizionisti consigliano di portarlo in tavola almeno tre volte alla settimana. Oggi, però, mettere nel piatto un’orata o una scatoletta di tonno non è più solo una scelta alimentare: è diventata anche una questione ambientale.
Secondo il rapporto biennale 2024 della FAO sullo "Stato della pesca e dell'acquacoltura nel mondo", nel 2022 il consumo globale di pesce ha raggiunto le 165 milioni di tonnellate. Quello annuo pro capite è più che raddoppiato, passando da 9,1 kg nel 1961 a 20,7 kg nel 2022.
Un trend in crescita, che potrebbe essere letto come positivo, ma che porta con sé un pesante costo ecologico: oltre un terzo degli stock ittici marini a livello mondiale, infatti, è oggi sovrasfruttato e la situazione continua a peggiorare anno dopo anno. Nel Mediterraneo e nel Mar Nero, in particolare, solo il 37,5% degli stock ittici viene pescato in modo sostenibile.
Che i prodotti di origine animale, in primis la carne rossa, rendano la dieta meno sostenibile lo abbiamo visto anche con lo studio pubblicato da Altroconsumo, dove la dieta mediterranea è stata paragonata a una dieta vegana e a una dieta vegetariana.
Per questo, quando ci si trova davanti al banco del pesce, è fondamentale essere in grado di orientarsi tra le specie più sostenibili e di scegliere l’opzione migliore sia per il portafoglio sia per gli oceani. Ma gli aspetti che determinano la sostenibilità del pesce sono tanti. Con l’esperta di chimica e ambiente di Altroconsumo Livia Biardi li abbiamo messi sotto la lente per capire meglio cosa significa "pesca sostenibile" e cosa possiamo fare per promuoverla.
Cosa vuol dire “pesca sostenibile”?
Quando parliamo di “pesca sostenibile”, ci riferiamo a pratiche che rispettano il mare e la sua biodiversità. L’obiettivo è semplice, ma fondamentale: pescare mantenendo l’equilibrio degli ecosistemi marini, proteggendo le specie e garantendo che le risorse del mare restino disponibili anche in futuro.
Il pesce, infatti, non è una risorsa inesauribile e la pesca eccessiva non è sostenibile perché impedisce la rigenerazione della specie, portando all’esaurimento delle risorse ittiche. Un pericolo reale, segnalato anche dalla FAO nel suo ultimo report: nel 2021 la percentuale di stock marini pescati entro livelli biologicamente sostenibili è scesa al 62,3%, con un calo del 2,3% rispetto al 2019. Questi numeri mostrano l'urgenza di adottare politiche mirate per fermare il declino, garantendo una gestione delle risorse che risponda al principio definito già nel 1987 dal rapporto Brundtland: soddisfare i bisogni presenti senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri.
Ma anche noi possiamo contribuire attraverso scelte di consumo responsabili, ovvero preferendo pesci non a rischio di estinzione, pescati con metodi selettivi nella stagione giusta (al di fuori dei periodi di riproduzione), in zone non sovrasfruttate o provenienti da allevamenti sostenibili.
La specie: i pesci che mangiamo di più rischiano l'estinzione
“Sulle nostre tavole arrivano non più di dieci o quindici tipi di pesce – spiega Biardi – anche se le specie ittiche che possono essere pescate e che potrebbero raggiungere ogni giorno i banchi di pescherie e supermercati sono ben di più”. La maggior parte di queste poche varietà consumate - tonno rosso e pesce spada su tutti - fa parte, però, delle specie più a rischio di estinzione, perché sottoposte a sovrasfruttamento, pesca intensiva o illegale e inquinamento. “Questo rischia di rompere l’equilibrio dell’ecosistema marino – prosegue l’esperta – e mette in serio pericolo la sopravvivenza di molte specie ittiche”.
“In generale, i pesci di dimensioni maggiori sono i più vulnerabili alla pesca eccessiva, perché crescono più lentamente e impiegano più tempo a raggiungere l'età riproduttiva” spiega ancora Biardi. È il caso, per esempio, degli squali, della verdesca, della cernia, del tonno rosso e del pesce spada.
Per orientarsi nella scelta delle specie da acquistare, è utile affidarsi ai marchi di sostenibilità del settore, come MSC, ASC, Friends of the Sea, o consultare le informazioni pubblicate da fonti istituzionali e da organizzazioni non governative, come:
- IUCN (International Union for Conservation of Nature): l’associazione pubblica periodicamente la "lista rossa" delle specie a rischio estinzione, che include anche pesci di acqua dolce e salata.
- WWF (World Wide Fund for Nature): l’organizzazione no profit attribuisce a ciascuna specie di pesce un pallino colorato, dal verde (da privilegiare) al rosso (da evitare), con classificazioni che possono variare in base a zona e metodo di pesca.

- HelloFish: il progetto del ministero dell'Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste e dell’Unione italiana delle Camere di commercio segnala le specie a rischio con un indicatore di “gravità” e propone alternative più sostenibili.

I metodi di pesca: meglio quelli più selettivi
“Alcuni metodi e tecniche di pesca sono più invasivi, cioè danneggiano gli habitat marini e/o non sono selettivi, cioè provocano la cattura accidentale di altre specie, come tartarughe o delfini” mette in guardia l’esperta. Tra questi ci sono i FAD (Fish aggregating device), oggetti galleggianti di vario genere – da semplici zattere di bambù a grandi piattaforme dotate di sonar e radar – che servono per attirare i tonni in un unico punto, per poi catturarli con ampie reti a circuizione. “Questo metodo poco selettivo – spiega Biardi – causa la morte accidentale di molte altre creature marine, tra cui giovani tonni, squali, delfini e tartarughe.
Un altro esempio è la pesca con palamiti (o palangari), lunghi cavi di nylon (fino a 100 km), con attaccate fino a 3.000 lenze che terminano con ami. Anche questi strumenti catturano molto spesso specie a rischio di estinzione, come squali e uccelli marini.
“Esistono, però, metodi di pesca più attenti verso la salute degli ecosistemi marini, come la piccola pesca artigianale, la pesca a canna, o quella con reti a circuizione su banchi liberi” chiarisce l’esperta. Sono sistemi di più selettivi, che:
- riducono al minimo i danni all’habitat marino;
- evitano le catture accidentali;
- non danneggiano i fondali;
- limitano l’impatto della pesca sull’ambiente.
“Sull’etichetta o sul cartellino che accompagna il prodotto – aggiunge Biardi – è obbligatorio indicare gli attrezzi di pesca utilizzati per la cattura: controllare questa informazione permette di compiere una scelta più sostenibile”. Anche la presenza di marchi di certificazione può aiutare: MSC e Friend of the Sea, per esempio, attestano che sono stati utilizzati sistemi di pesca selettivi e a basso impatto, mentre Dolphin Safe garantisce la protezione dei delfini durante la pesca del tonno.
La stagionalità: un pesce per tutte le stagioni non vale
La maggior parte dei pesci non è disponibile, o non dovrebbe essere pescata, in determinati periodi dell’anno. Esattamente come la frutta e la verdura, anche il pesce è soggetto a stagionalità, ma in questo caso definita in base al ciclo riproduttivo delle specie.
“Scegliere pesce di stagione significa rispettare il ciclo vitale degli animali marini, mentre catturarli durante la fase riproduttiva o non rispettare i periodi di crescita aggrava le problematiche legate al sovrasfruttamento e al rischio di estinzione di certe specie” chiarisce Biardi. Lo dimostra anche un’indagine sul campo condotta da Oceana, che ha rilevato la vendita diffusa di merluzzi sotto taglia nei porti italiani, in violazione delle normative europee.
Come sapere quale specie è meglio acquistare in un determinato periodo dell’anno? Utilizzando HelloFish, il progetto promosso dalla Direzione generale della pesca marittima e dell’acquacoltura del ministero dell'Agricoltura e dall’Unione italiana delle Camere di commercio, che fornisce un utile calendario con le specie più diffuse e consigliate nelle diverse stagioni dell’anno.
Alcuni pesci, come l’aringa, e molluschi, come le cozze, per esempio, possono essere consumati tutto l’anno. Altri, invece, andrebbero acquistati solo in determinate stagioni: per esempio tra i pesci l’ombrina in autunno e il pagello in primavera, e tra i crostacei l’aragosta in primavera e l’astice in autunno.
La zona di pesca: meglio le acque vicine
Il rapporto FAO stima che quasi il 90% del pesce provenga da soli 10 Paesi. Questa forte concentrazione della produzione contribuisce al sovrasfruttamento delle risorse ittiche e spesso avviene in aree dove mancano leggi restrittive a tutela delle specie marine e degli habitat.
“Per questo motivo – suggerisce l’esperta – è preferibile scegliere pesce proveniente dai mari a noi più vicini, privilegiando il pescato del Mar Mediterraneo, scelta che permette anche di ridurre le emissioni di CO₂ legate al trasporto”.
Per legge, sul pesce fresco e surgelato deve essere indicata la provenienza, riportando il nome del mare o dell’oceano e il numero della zona di pesca FAO. La Zona FAO 37, per esempio, corrisponde al Mar Mediterraneo e al Mar Nero, ulteriormente suddivisa in sottozone:
- 37.1: Mediterraneo occidentale
- 37.2: Mediterraneo centrale
- 37.3: Mediterraneo orientale
- 37.4: Mar Nero
Il discorso cambia per pesce trasformato, come il tonno in scatola: qui recuperare l’origine è spesso più difficile. Un recente test di Altroconsumo sul tonno in scatola ha evidenziato come le informazioni, quando presenti, siano poco visibili, solitamente stampate accanto al numero di lotto. Eppure, si tratta di dati fondamentali per compiere una scelta più sostenibile quando si acquista il tonno.
L’acquacultura: sì, a patto che sia davvero sostenibile
Il pesce rappresenta una fonte di nutrimento fondamentale, nonostante i noti impatti ambientali e sociali legati alla pesca. Per rispondere alla crescente domanda globale in modo più sostenibile, un’alternativa è l’acquacoltura, ovvero l’allevamento di pesci e molluschi. Secondo l’ultimo rapporto FAO, nel 2022 la produzione da acquacoltura ha ormai superato quella che proviene dalla pesca tradizionale.
“L’acquacoltura offre indubbi vantaggi ambientali, tra cui evitare la pesca eccessiva, il sovrasfruttamento degli stock ittici e l’utilizzo di sistemi di pesca invasivi” spiega Biardi. Inoltre, può essere praticata in diverse aree costiere, riducendo la necessità di lunghi trasporti e contribuendo allo sviluppo delle comunità locali. “Ma anche l’acquacoltura può avere impatti negativi, soprattutto in caso di allevamenti intensivi”.
Come è emerso dall’inchiesta di Altroconsumo del settembre 2021, tra le principali criticità ci sono:
- l’uso di sostanze chimiche come antibiotici e antiparassitari;
- l’inquinamento del fondale marino causato da feci e residui;
- il rischio che pesci allevati sfuggano dalle gabbie, alterando gli ecosistemi e impoverendo geneticamente le popolazioni selvatiche.
Per orientarsi verso acquisti più responsabili, è possibile affidarsi ad alcuni marchi volontari che garantiscono standard di sostenibilità per l’acquacoltura. Tra i più riconosciuti ci sono ASC, Friend of the Sea e il marchio biologico europeo.
Quali sono i pesci da scoprire e acquistare
Ci sono specie ittiche che possono essere acquistate e consumate con un minore impatto sull’ambiente. Si tratta per lo più di pesci meno noti e di taglia inferiore rispetto ai più gettonati tonno, salmone o pesce spada.
Secondo il portale di HelloFish tra le alternative più sostenibili troviamo:
- l’alalunga
- il tombarello
- il biso
- il tonnetto
- l’alletterato striato.
Pur non essendo priva di impatti ambientali, anche l’acquacoltura – ovvero l’allevamento di pesci e molluschi – può alleggerire la pressione sugli stock naturali in esaurimento ed evitare la cattura eccessiva di altre specie, a patto che sia certificata e gestita in modo responsabile. Tra le specie allevate considerate più sostenibili, HelloFish indica:
- il pagro
- il pesce gatto
- l’ombrina.
Recuperare e valorizzare le “specie dimenticate”, come ricorda anche il WWF permette non solo di variare la nostra dieta, ma anche di ridurre la pressione sulle risorse marine. Questa scelta aiuta a preservare la biodiversità e a favorire la rigenerazione degli stock ittici. Oltre ai già citati tombarello e biso, alcuni esempi sono lo zerro, il suro o il sugarello.
“Per orientarsi nella scelta di prodotti ittici sostenibili sia pescati sia allevati – suggerisce l’esperta – è utile fare riferimento a certificazioni volontarie che garantiscono il rispetto di determinati criteri ambientali e sociali”. Tra le più riconosciute ci sono MSC, ASC, Friend of the Sea e il marchio biologico europeo.
Quali sono i pesci da evitare perché a rischio di estinzione
La “lista rossa” dell’IUCN segnala tutte le specie animali e vegetali a rischio di estinzione, comprese molte specie ittiche di acqua salata e dolce.
In particolare, risultano a rischio per il sovrasfruttamento della pesca:
- Pericolo critico: anguilla, ombrina boccadoro.
- In pericolo: cernia, palombo, rombo chiodato.
- Quasi minacciate: nasello o merluzzo, pesce spada, tonno rosso.
- Vulnerabili: sgombro.
Anche HelloFish fornisce un elenco aggiornato delle specie ittiche a rischio, con l'indicazione del livello di minaccia. Tra le più a rischio troviamo:
- Pericolo critico: anguilla.
- In pericolo: cernia, rombo chiodato, palombo.
- Quasi minacciate: nasello o merluzzo, pesce spada, tonno e tonno rosso.
- Vulnerabili: alosa cheppia, sgombro.
Il WWF, infine, propone un sistema a semaforo per aiutare i consumatori a compiere scelte più consapevoli. Alcune specie, segnalate con il semaforo rosso, risultano da evitare sempre:
- il gambero grigio
- la triglia di fango
- la verdesca.
Per altre specie, la sostenibilità dipende dal metodo e dall’area di pesca. Per esempio, la ben nota spigola (o branzino), molto apprezzata in Italia, è:
- da evitare se pescata nel Mediterraneo o nel Mar Nero tramite allevamento in gabbia, oppure pescata con reti da posta o a strascico nell’Atlantico nord-orientale;
- da consumare con moderazione se proviene da alcune aree dell’Atlantico settentrionale ed è pescata con palangaro, canna o lenza;
- da privilegiare quando pescata nel Golfo di Biscaglia con tecniche selettive come lenza o canna.
I marchi di sostenibilità del pesce
Le certificazioni di sostenibilità del pesce sono di tipo volontario. I principali marchi di pesca e acquacultura sostenibile, riconosciuti in Italia e nel mondo, sono riassunti nella tabella qui sotto.
Cosa possiamo fare noi
Il pesce è uno dei pilastri di una dieta equilibrata e variegata, ma è fondamentale consumarlo in modo responsabile, scegliendo specie sostenibili per tutelare gli ecosistemi marini, oggi e nel futuro.
Per rendere questa scelta più semplice e accessibile a tutti che cosa si potrebbe fare concretamente? “Prima di tutto ci vogliono più informazione e trasparenza per i consumatori per aiutarli a orientarsi sia in termini di quantità, rendendo noto a tutti quante volte è opportuno inserire il pesce nella dieta, sia nella scelta delle specie meno impattanti e più sostenibili” risponde Biardi. “In questo senso, sarebbe utile disporre di una fonte unica, ufficiale e facilmente consultabile, che raccolga le indicazioni aggiornate su quali specie preferire, dove e come sono pescate o allevate, e che tipo di certificazioni possiedono”.
Ma anche i consumatori possono fare la loro parte. In che modo? “Cercando di informarsi, scegliendo prodotti che riportano i marchi di certificazioni riconosciuti, e di orientare la propria scelta verso specie più sostenibili”.