Pesce fresco acquistato direttamente al porto per una bella frittura di paranza: siamo consapevoli che in quel misto invitante si potrebbero nascondere esemplari di cui è vietata la vendita? Per esempio merluzzetti che sarebbero dovuti restare in mare per riprodursi, invece di finire nel piatto? Probabilmente no. Eppure è proprio ciò che emerge dall’inchiesta sul campo condotta da Oceana, che ha documentato l’esistenza di un esteso mercato di merluzzi (da noi chiamati anche “naselli”) sotto taglia in diversi porti italiani, e dall’indagine parallela di Altroconsumo, che ha verificato lo scarso livello di conoscenza dei nostri concittadini su questo tema, ma anche l’esigenza di essere più informati per compiere scelte più consapevoli quando acquistano il pesce.
Nel maggio 2025, Oceana (organizzazione internazionale per la tutela degli oceani) insieme all'Ong Sea Shepherd ha visitato sotto copertura alcuni porti, mercati del pesce, ristoranti e pescherie situati lungo le coste mediterranee dell’Italia e della Spagna per indagare sulla pesca e sulla vendita non conforme alla legge di giovani merluzzi sotto taglia. I risultati dell’indagine sono stati presentati in collaborazione con Altroconsumo (in Italia) e OCU (in Spagna).
Con un’inchiesta parallela, Altroconsumo ha esplorato il lato "a valle" della filiera, quello dei consumatori, sondandone il livello di conoscenza sulle taglie minime per le specie ittiche e le abitudini quando fanno la spesa di pesce, ma anche le opinioni sull’impatto della pesca e della vendita di pesci sotto taglia per la biodiversità marina e sulle strategie migliori per combattere questa pratica insostenibile.
Perché proteggere i pesci giovani è fondamentale per la biodiversità marina
La taglia minima legale serve a proteggere alcune specie ittiche sovrasfruttate, consentendo agli esemplari ancora giovani di crescere e riprodursi prima di essere pescati. In altre parole, è una misura fondamentale per garantire la sostenibilità degli stock ittici e l’equilibrio dell’intero ecosistema marino. Quando un pesce finisce nella rete e viene venduto prima di aver conquistato la sua maturità biologica, infatti, l’impatto sulla biodiversità e sull’approvvigionamento futuro corre seri pericoli, soprattutto se le giovani vittime fanno parte delle specie più a rischio.
L’Europa, infatti, da anni lavora per prevenire e disincentivare la pesca di novellame (cioè pesci immaturi) con piani pluriennali (come il West Med MAP) e quadri normativi che mirano a garantire lo sfruttamento e il recupero sostenibili delle specie maggiormente a rischio, come il merluzzo (Merluccius merluccius) o nasello, la specie “demersale” (cioè che vive vicino al fondo del mare) più sfruttata in assoluto nelle acque del Mediterraneo occidentale.
In particolare, il regolamento UE 2019/1241 sancisce che la “taglia minima di riferimento per la conservazione” (o MCRS, Minimum Conservation Reference Size) del merluzzo (o nasello che dir si voglia) sia pari a 20 centimetri. Vietato, dunque, pescare e vendere esemplari di dimensioni inferiori: il novellame che viene accidentalmente catturato, deve essere conservato a bordo del peschereccio e poi sbarcato in porto, ma non gettato in mare né tantomeno commercializzato.
Il regolamento UE prevede anche una serie di misure per limitare il pericolo che i pesci piccoli finiscano involontariamente nelle reti soprattutto dei pescherecci a strascico, che secondo il Comitato scientifico, tecnico ed economico per la pesca (CSTEP) sono i principali responsabili dell'elevato numero di catture accessorie dei baby pesci per l’impiego di attrezzi poco selettivi. Tra queste misure: reti con maglie di dimensioni maggiori e limiti spazio-temporali alla pesca, nelle aree e nei periodi in cui i branchi di baby pesci sono più copiosi.
Il regolamento UE mira a limitare la pesca di giovani esemplari e a scoraggiare la commercializzazione di quelli che comunque finiscono a bordo dei pescherecci. Con successo? Nel nostro Paese (e in misura minore in Spagna) i risultati dell’indagine sul campo condotta da Oceana sono scoraggianti: i merluzzi sotto taglia non solo continuano a essere catturati, ma anche venduti e, dunque, portati in tavola. Un mercato nero che oltre a violare le norme comunitarie mina gli sforzi delle autorità e dei pescatori onesti che lavorano da anni per ricostituire gli stock ittici di questa specie sovrasfruttata.
L’inchiesta di Oceana: visite nei porti di alcune località costiere in Italia e Spagna
L’indagine di Oceana, condotta insieme a Sea Shepherd a maggio di quest’anno, ha coinvolto 7 località costiere in Italia (tra Toscana, Lazio, Campania e Sicilia) e 12 in Spagna (tra Catalogna, Comunità Valenciana, Murcia e Andalusia). Tutte zone preventivamente selezionate per l’intensa attività di pesca a strascico nelle aree chiave di riproduzione del merluzzo e, dunque, a maggior rischio di attività connesse alla vendita di esemplari sotto taglia. L'inchiesta si è concentrata principalmente sui porti, ma ha incluso anche mercati del pesce e ristoranti. Laddove sono state riscontrate possibili violazioni, Oceana ha raccolto prove fotografiche e video dello sbarco, della vendita o della somministrazione di naselli sotto i 20 centimetri.
I risultati nel nostro Paese? A dir poco allarmanti: il 91% dei pescherecci a strascico, delle bancarelle e dei mercati controllati vendevano merluzzo sotto taglia. In alcuni casi, sono stati trovati baby naselli anche nelle pescherie e in alcuni ristoranti.
05 maggio – Porto Santo Stefano
- Nº controlli effettuati: 4
- Nº con merluzzo sotto taglia: 4
- Percentuale irregolarità: 100%
06 maggio – Anzio
- Nº controlli effettuati: 10
- Nº con merluzzo sotto taglia: 9
- Percentuale irregolarità: 90%
07 maggio – Napoli (mercato)
- Nº controlli effettuati: 1
- Nº con merluzzo sotto taglia: 1
- Percentuale irregolarità: 100%
07 maggio – Torre Annunziata (pescheria)
- Nº controlli effettuati: 1
- Nº con merluzzo sotto taglia: 1
- Percentuale irregolarità: 100%
07 maggio – Torre del Greco
- Nº controlli effettuati: 1
- Nº con merluzzo sotto taglia: 1
- Percentuale irregolarità: 100%
08 maggio – Porticello
- Nº controlli effettuati: 3
- Nº con merluzzo sotto taglia: 2
- Percentuale irregolarità: 67%
09 maggio – Trapani (mercato)
- Nº controlli effettuati: 1
- Nº con merluzzo sotto taglia: 1
- Percentuale irregolarità: 100%
In particolare, Oceana ha documentato la vendita in bella vista di naselli sotto misura direttamente dalle barche o dalle bancarelle ai consumatori presenti al porto, cosa che fa pensare a una pratica profondamente radicata in Italia. Al momento dello sbarco, le catture venivano spesso smistate in due tipi di contenitori: scatole bianche di polistirolo riservate all'asta ufficiale, senza novellame, e cassette blu di plastica con novellame, destinate anche ai consumatori riuniti sulla banchina.
Oltre alle prove sulla vendita di naselli sotto taglia, l'inchiesta solleva preoccupazioni sul probabile utilizzo di reti irregolari o non conformi. In diverse occasioni, il team di Oceana ha osservato che molti tra i pesci sbarcati dai pescherecci (non solo il merluzzo) erano di dimensioni estremamente ridotte, facendo emergere dubbi sulla regolarità e selettività degli attrezzi utilizzati durante la pesca.
Un accenno alla Spagna. Qui le cose sono andate molto meglio sul fronte vendite di giovani merluzzi, decisamente inferiori. Ma è stata osservata la prassi di gettare pesce in mare prima di arrivare in porto. Un dato emblematico: Oceana ha identificato l’offerta di merluzzi tra i 10 e i 15 cm su due piattaforme spagnole di vendita online. Da dove arrivano questi merluzzetti? Dall’Italia. A dimostrazione di come l’e-commerce possa aggirare facilmente le catene di approvvigionamento tradizionali e della necessità crescente di incrementare i controlli e la tracciabilità anche in questo ambito.
L’indagine di Altroconsumo: quanto sono consapevoli gli italiani?
In un Paese come il nostro, dove è presente il commercio di baby merluzzi e dove tutti rischiamo inconsapevolmente di acquistarli o consumarli, qual è il livello di consapevolezza generale su questo tema? Quali sono le abitudini dei consumatori italiani quando acquistano il pesce? Badano agli aspetti di sostenibilità? Sanno che esiste una taglia minima legale per le specie a rischio? Sono informati sulle conseguenze della pesca di questi giovani esemplari per gli ecosistemi marini?
Attraverso un questionario, Altroconsumo ha rivolto queste e molte altre domande a un gruppo di consumatori iscritti alla piattaforma ACmakers, raccogliendo 1.156 risposte valide. Il campione è distribuito come la popolazione italiana per genere, età (tra 18 e74 anni), livello di istruzione e area geografica.
Spesa di pesce: le abitudini di consumo e di acquisto
I nutrizionisti lo ripetono da anni e le Linee guida per una sana alimentazione redatte dal CREA lo confermano: il pesce andrebbe consumato due o tre volte alla settimana. La buona notizia è che il 40% dei nostri intervistati sostiene di rispettare questa raccomandazione, portando in tavola pesce fresco o surgelato almeno due volte alla settimana, ma con notevoli differenze a seconda dell’area geografica in cui si vive. Nel Sud Italia, nelle zone vicine al mare e nelle isole ovviamente il consumo di pesce (soprattutto fresco) è maggiore, così come la pescheria il luogo preferito dove acquistarlo. A livello generale, però, il punto vendita d’elezione per fare la spesa di pesce, sia fresco sia surgelato, è il supermercato.
In base a quali criteri i nostri intervistati scelgono il pesce? Prima di tutto guardano l’aspetto, elemento che il 72% del campione considera molto importante. Gli altri parametri che incidono sulla scelta sono, per ordine di importanza:
• la modalità di conservazione (53%);
• la provenienza geografica (34%),
• il metodo di produzione (32%):
• il prezzo (31%).
E la sostenibilità? Naviga in cattive acque. Solo il 22% degli intervistati giudica importante la presenza dei loghi delle certificazioni proprie del settore ittico (MSC, ASC, Friend of the Sea), che garantiscono il rispetto di determinati requisiti ambientali ed etici. Ancora meno, il 16%, sono coloro che danno il giusto peso al metodo di pesca (a strascico, reti a circuizione, palangari, a canna ecc.), che nel caso della pesca dei merluzzi sotto taglia è, invece, fondamentale.
Negli ultimi 3 mesi, 7 intervistati su 10 hanno messo nel piatto salmone e tonno. Al terzo posto troviamo il “nostro” merluzzo, servito dal 59% del campione e acquistato per lo più sotto forma di filetti o tranci (quasi mai intero). Ma quanti sanno che per questa e altre specie di pesce esistono dei precisi limiti di taglia sotto i quali la vendita diventa illegale?
Limiti di taglia: la conoscenza aumenta la consapevolezza
Bando alle illusioni: la conoscenza delle norme sulle taglie minime per le specie ittiche dei nostri intervistati è decisamente scarsa. Restringendo il campo al merluzzo, è vero che il 25% degli intervistati dice di sapere che c’è un limite di taglia, ma tra questi solo uno sparuto 3% è stato in grado di quantificarlo correttamente (i famosi 20 centimetri).
A questo dato sconfortante sul livello di informazione fa da contraltare un dato rassicurante: una volta informati sull’esistenza della taglia minima legale, il 77% dei consumatori sicuramente (38%) o probabilmente (39%) smetterebbe di acquistare gli esemplari che non la rispettano. Un risultato che conferma una volta di più l’importanza dell’informazione per orientare verso scelte d’acquisto più consapevoli e sostenibili.
Cosa chiedono i cittadini: più controlli, più informazione, più trasparenza
L’importanza di una pesca più sostenibile e di una protezione maggiore delle specie in pericolo è riconosciuta dalla stragrande maggioranza degli intervistati. L’86% è consapevole che la cattura e la vendita di pesce sotto taglia rappresentano un serio rischio per la biodiversità marina e ben 9 su 10 invocano controlli più stringenti sul rispetto delle norme che proteggono le specie ittiche in pericolo. Norme che l’80% vorrebbe conoscere più a fondo, a conferma della crescente volontà di acquisire gli strumenti per compiere scelte di acquisto più consapevoli e contribuire in prima persona al cambiamento.
I nostri intervistati dimostrano anche sensibilità e preoccupazione verso chi con la pesca campa in modo onesto e lavora nel pieno rispetto delle regole, remando a favore della sostenibilità e contribuendo così ad assicurare un futuro più solido all’intero comparto. Chi opera nel settore ittico salvaguardando le specie in pericolo e assicurando l’equilibrio dell’ecosistema marino va premiato e sostenuto economicamente, non ostacolato con oneri aggiuntivi.
Un mare da salvare: le richieste alle autorità nazionali e comunitarie
L'indagine di Oceana conferma che il problema della vendita del merluzzo sotto taglia è reale, soprattutto in Italia. Un problema che nasce a monte, con le catture di novellame di merluzzo in mare. Il possibile uso di attrezzi da pesca non conformi e il rigetto in mare di esemplari sotto taglia sono pratiche che non solo non rispecchiano la normativa in vigore, ma che rischiano di compromettere la ricostituzione degli stock di merluzzo nel Mar Mediterraneo occidentale.
Gli strumenti per invertire il declino degli stock di merluzzo nella regione ci sono già. Ciò di cui c'è bisogno ora è la volontà politica, l'applicazione coerente delle norme esistenti (in mare e a terra) e un maggiore impegno dell'opinione pubblica a compiere scelte d’acquisto del pesce più sostenibili.
Per superare la crisi del merluzzo e aiutare la ricostituzione degli stock ittici, Oceana, Sea Shepherd, Altroconsumo e OCU chiedono all’UE, all'Italia e agli altri Paesi del Mediterraneo occidentale di:
- rafforzare l'applicazione delle norme: intensificare le ispezioni in mare e in porto e aumentare i controlli nei mercati, nei ristoranti e nelle piattaforme di e-commerce;
- migliorare la selettività degli attrezzi da pesca: rendere obbligatorie maglie di dimensioni maggiori per prevenire la cattura di novellame e aumentare le chiusure spazio-temporali alla pesca nelle aree di riproduzione.
- aumentare la consapevolezza dei consumatori attraverso campagne di informazione pubblica per promuovere scelte di acquisto più responsabili e consapevoli, orientate alla sostenibilità;
- migliorare l'etichettatura dei prodotti ittici e le informazioni a disposizione dei consumatori: richiedere ai pescivendoli e ai supermercati di mostrare chiaramente ai consumatori le informazioni obbligatorie sui prodotti ittici (come il nome scientifico, gli attrezzi da pesca, l'area di cattura) e informare anche sulle dimensioni minime di riferimento per la conservazione delle specie per aiutarli a capire facilmente se i prodotti che intendono acquistare rispettano la dimensione legale e provengono da fonti sostenibili.
Inoltre, la Commissione europea deve garantire che le autorità nazionali applichino le norme del piano pluriennale del Mediterraneo occidentale e dedichino risorse adeguate alle ispezioni nei porti e nei mercati.
Servono programmi europei e controlli puntuali
