Ogni anno in Italia finiscono nella raccolta differenziata oltre 1,7 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica, di cui ben il 96% è costituito da imballaggi. Un dato che ci riguarda da vicino: ciascuno di noi ne produce in media la bellezza di 29 kg all’anno.
Una volta raccolti, gli imballaggi di plastica vengono avviati al riciclo per recuperare polimeri preziosi che serviranno per produrre nuovi imballaggi o altri manufatti. Tuttavia, il processo per riciclare la plastica non è ancora così virtuoso come dovrebbe: solo poco più del 50% della plastica raccolta viene effettivamente riciclata e, a livello europeo, un magro 15% della plastica immessa sul mercato proviene da materiale riciclato.
La strada verso una plastica davvero circolare, insomma, sembra essere ancora lunga. Ecco perché è fondamentale agire alla fonte, riducendo in più possibile la produzione di rifiuti di plastica nella vita quotidiana. A partire dalla spesa.
1. Rinunciare all’acqua in bottiglia di plastica
La nostra diffidenza verso l’acqua di rubinetto è dura a morire. Noi italiani, infatti, siamo ancora i campioni europei per consumi di acqua minerale in bottiglia e tra i primi al mondo. Le ragioni? False credenze e paure infondate. Una nostra inchiesta condotta in 35 città italiane, per esempio, ha confermato che l'acqua del rubinetto in linea di massima è buona e sicura. Eppure in tanti continuano a guardarla con sospetto, nonostante sia possibile togliersi ogni dubbio semplicemente facendo analizzare l’acqua che sgorga dal rubinetto di casa (Altroconsumo mette a disposizione dei soci un servizio ad hoc di analisi dell’acqua).
Ma qual è l’impatto dell’acqua in bottiglia sull’ambiente? Tralasciando l’inquinamento legato all’imbottigliamento e al trasporto – che in termini di emissioni di CO2 è tutt’altro che trascurabile – consumare 2 litri di acqua in bottiglia al giorno comporta la produzione di oltre 14 kg di rifiuti di plastica per persona all'anno, tenuto conto che per una bottiglia da 1,5 litri di acqua minerale naturale vengono impiegati circa 30 g di imballaggio in plastica (considerando il peso della bottiglia, del tappo, dell’etichetta e del film retraibile che avvolge un fardello da 6 bottiglie d’acqua).
Rinunciare all’acqua in bottiglia tutte le volte che è possibile, quindi, è un ottimo inizio per ridurre la produzione casalinga di rifiuti di plastica. Se si evita l’acqua di rubinetto perché magari sa un po’ di cloro, il problema del sapore si può facilmente risolvere utilizzando un caraffa filtrante, mentre con un gasatore si può soddisfare il desiderio di acqua frizzante in qualunque momento della giornata.
E fuori casa o in ufficio? Facciamo un favore al pianeta e a noi stessi utilizzando una borraccia in alluminio o acciaio: mantiene fresca l’acqua, dura nel tempo, è riciclabile all’infinito e, a differenza della plastica, resiste meglio a muffe e batteri. Grazie a una comoda borraccia da riempire con acqua sempre fresca, è possibile dare un taglio alla mole di plastica che arriva dalle bottigliette di acqua monouso.
2. Acquistare prodotti sfusi quando è possibile
Forse non ci facciamo caso o non ce ne rendiamo conto, ma ogni volta che acquistiamo un alimento confezionato, portiamo a casa anche un imballaggio destinato a diventare rifiuto. L’alternativa semplice e potente (in termini di riduzione dei rifiuti) spesso c’è: i prodotti sfusi.
Che si tratti di pasta, legumi, frutta secca, spezie (ma anche, per esempio, detersivi detergenti), acquistare sfuso significa dire no anche alla plastica monouso. Niente confezioni individuali per ogni unità venduta (sacchetti, bottiglie, scatole): i consumatori possono portare i propri contenitori riutilizzabili, evitando l’uso di imballaggi usa e getta.
Comprare sfuso non significa eliminare del tutto gli imballaggi e i relativi rifiuti, ma sposta l’impatto a monte della filiera, dove è più facile ottimizzare, riusare o riciclare, e riduce significativamente i rifiuti generati dai consumatori finali.
Inoltre, aspetto non meno importante, permette di acquistare solamente la quantità di cibo di cui si ha davvero bisogno, limitano il rischio di spreco alimentare, che nel nostro Paese è ancora molto elevato.
3. Evitare le monoporzioni e le mini-size
Ci sono molti aspetti da considerare per ridurre l’impatto ambientale degli imballaggi dei cibi, che possono essere più o meno sostenibili. A partire dal materiale con cui sono fatti, ma anche dalla loro misura. Più la confezione è piccola… maggiore sarà il suo impatto ambientale. Un paradosso? Solo in apparenza.
Anche se le monoporzioni o le mini-size sono assai comode in alcune occasioni, come un pic-nic o quando si consuma da soli un cibo molto deperibile, è bene sapere che le confezioni grandi utilizzano meno materiale di imballaggio rispetto alla somma dei packaging di tante monoporzioni. Questo significa meno plastica (ma anche carta e alluminio) da produrre, meno rifiuti da smaltire, minore impatto della produzione e del trasporto dei materiali di imballaggio e degli stessi prodotti confezionati.
Le confezioni piccole sono più difficili da riciclare rispetto a un imballaggio di grandi dimensioni, perché è più complicato separare i vari materiali di cui sono composte e spesso questo processo richiede tecnologie più costose. Le dimensioni ridotte e la possibile contaminazione con residui di cibo ne fanno materiale di scarto nella selezione dei rifiuti di plastica, finendo a termovalorizzazione, anziché al riciclo dei materiali.
Per evitare di acquistare confezioni monoporzione, basta organizzarsi con box porta-pranzo, contenitori e sacchetti sia richiudibili sia riutilizzabili. In casa, i grandi formati di pasta, biscotti o yogurt, per esempio, possono essere suddivisi in porzioni più piccole e già pronte per l’uso.
Ciò che vale per i cibi vale anche per i cosmetici e per i prodotti di igiene personale, come shampoo, docciaschiuma, creme ecc. Le mini-size sono indubbiamente comode in viaggio, ma producono molti rifiuti di plastica, in relazione alla scarsa quantità di prodotto che contengono. Senza contare che molto spesso se ne spreca un bel po’ perché non si riesce a svuotare a fondo tutta la confezione. La soluzione? Scegliere un formato più grande e usare flaconcini da viaggio riutilizzabili, così il rifiuto non si produce affatto.
4. Usare i contenitori giusti per conservare e trasportare cibo
Grazie alla direttiva SUP (“Single-Use Plastic”), in vigore anche nel nostro Paese fin dal gennaio 2022, oggi sul mercato non si trovano più piatti, posate, cannucce, bicchieri e contenitori per asporto (o consumo diretto) di alimenti fatti di plastica tradizionale. Molto bene, ma si può fare di più sia in cucina, sia quando si fa la spesa, si mangia cibo da asporto o si chiede la doggy bag al ristorante.
Per conservare in frigorifero o nel congelatore il cibo cucinato o avanzato, è importante evitare i sacchetti di plastica usa e getta a favore degli appositi contenitori riutilizzabili in plastica rigida o in vetro, una soluzione pratica e duratura da adottare anche per portare il pranzo in ufficio o la merenda a scuola.
Quando si fa la spesa, non è un grande sforzo ricordarsi di portare con sé una borsa in tela o in materiale rigido riutilizzabile: un piccolo accorgimento che permette di risparmiare sulle shopper usa e getta e, allo stesso tempo, di limitare l’uso della plastica, contribuendo alla tutela dell’ambiente. Su Altroconsumo, vi diamo tutte le dritte per riconoscere le borse “green” solo di nome e per scegliere una shopper davvero sostenibile.
Quanto ai pasti e agli spuntini fuori casa, il nuovo regolamento sugli imballaggi prevede diverse novità per mense, bar e ristoranti. Ai clienti sarà permesso chiedere che gli alimenti vengano messi in un imballaggio riutilizzabile al posto di quello usa e getta e gli esercizi commerciali che vendono cibi e bevande dovranno fornire almeno il 10% di imballaggi riutilizzabili.
5. Il detersivo giusto per lavare i piatti: sì a ricariche e refill
Non solo cibo confezionato. In tema di impatto ambientale degli imballaggi, anche il detersivo usato, per esempio, per lavare i piatti (così come quelli per pulire la casa o per l’igiene personale) può contribuire – e non poco! – alla produzione di rifiuti di plastica. Il flacone, il tappo, l'etichetta staccabile…
Ma nel caso dei detersivi, più che il contenuto netto della confezione quello che conta è il numero di dosi che contiene. Un flacone più grande può sembrare anche più conveniente, ma spesso racchiude un prodotto molto diluito e meno efficace, da usare in maggiori quantità a ogni lavaggio. Per questo motivo, è sempre meglio preferire i detersivi concentrati, anche quando si utilizzano i prodotti per lavare i piatti a mano.
I detersivi concentrati riducono l’uso di acqua nella formulazione, garantiscono maggiore efficacia e permettono di ridurre fino al 70% i rifiuti da imballaggio.
E quando il detersivo finisce? Non buttare via il flacone e riempirlo con ricariche e refill:
• una ricarica è praticamente un flacone, venduto senza parti accessorie come il tappo dosatore, il trigger o lo spruzzatore. Contiene solo il liquido detergente (per esempio detersivo per piatti o per pavimenti);
• un refill è una confezione in plastica morbida che contiene una quantità di detersivo sufficiente a riempire almeno una volta il flacone di detersivo originale. Più spesso, il refill permette di riempire più volte il flacone originale.
Quando si lavano i piatti per ridurre ulteriormente gli imballaggi (ma anche consumo di acqua ed energia) è preferibile usare la lavastoviglie. Le tabs, in particolare, hanno generalmente imballaggi leggeri e facilmente differenziabili.