lunedì 14 aprile 2025

Tonno in scatola: marchi sostenibili, rischi ambientali e come scegliere bene

Dietro la comodità di una scatoletta di tonno si nascondono criticità ambientali, pesca intensiva e violazioni dei diritti umani. Lo ricorda il World Tuna Day che, il 2 maggio, accende i riflettori sull’importanza di una pesca più sostenibile. Scopri come riconoscere i marchi più trasparenti, le zone Fao da preferire e quali certificazioni ti aiutano a scegliere un tonno più etico e sostenibile.

Altromangiare
di Lorenza Resuli
scatoletta di tonno

Il nostro Paese è uno e dei principali produttori di tonno in scatola a livello europeo, secondo solo alla Spagna. Ed è tra i primi al mondo quanto a consumi, con un livello di penetrazione nelle famiglie che, secondo i dati Ancit (Associazione Nazionale Conservieri Ittici e delle Tonnare),  sfiora il 96%. In altre parole, nelle dispense italiane una confezione di tonno sott'olio o al naturale non manca quasi mai. Ma non siamo certo un'eccezione. Il tonno è tra i pesci più consumati e apprezzati al mondo perché ricco di nutrienti, economicamente accessibile, assai versatile e molto comodo. E anche sostenibile?

In realtà, l'innocua scatoletta naviga da sempre in un mare di criticità sul doppio fronte ambientale ed etico. Tanto è vero che l'Onu ha istituito la Giornata mondiale del tonno, il 2 maggio, non tanto (o non solo) per sottolineare il suo ruolo chiave nell'economia e nella sicurezza alimentare di tanti Paesi, ma soprattutto per accendere i riflettori sui rischi legati alla pesca intensiva e per promuovere pratiche più sostenibili verso l'habitat marino e i pescatori. D'altra parte, migliorare la gestione globale del settore è fondamentale per riportare gli ecosistemi a uno stato sano e produttivo, assicurandosi la disponibilità di tonno a lungo termine. 

Problemi etici e ambientali del tonno in scatola

I tonni sono tra i pesci a maggior valore commerciale del pianeta e sostengono la pesca sia su piccola scala sia a livello industriale. Secondo l'ONU ogni anno nel mondo vengono raccolte più di 7 milioni di tonnellate di tonno e specie affini, che rappresentano il 20% del valore della pesca marittima e oltre l’8% di tutti i prodotti ittici commercializzati a livello globale.

Attualmente oltre 96 Paesi sono coinvolti nella conservazione e gestione del tonno, che ha un valore annuo di quasi 10 miliardi di dollari. È, quindi, evidente il ruolo chiave di questo pesce non solo nell'economia e nel sostentamento di migliaia di persone, ma anche nello sviluppo sostenibile. Che però è ancora in alto mare, come emerge anche dallo studio "The State of World Fisheries and Aquaculture 2022" condotto dalla FAO, che ribadisce l'urgenza di maggiori investimenti e misure più stringenti per raggiungere una pesca più equa e sostenibile. 

Se da un lato, infatti, i programmi della FAO e le campagne delle ONG stanno iniziando a dare risultati positivi, dall'altro il problema della pesca intensiva e delle sue conseguenze è più reale che mai. Alla domanda mondiale di questo prodotto in costante crescita, infatti, ha risposto l'aumento della capacità di pesca grazie a navi più grandi e veloci che possono operare in alto mare per periodi di tempo più lunghi.

Ancora oggi, dunque, la sostenibilità della pesca del tonno è minacciata da queste criticità

pesca eccessiva, con rischi per la conservazione degli stock di tonno più commercializzati;
pratiche di pesca illegali, non dichiarate e non regolamentate (IUU - Illegal, Unreported and Unregulated fishing); 
impatto sugli ecosistemi e sull’habitat marino;
perdita e abbandono di attrezzi da pesca (come il filo con cui sono fatte le reti da pesca), che oltre a intrappolare e uccidere gli animali inquinano i mari;
utilizzo di dispositivi per l'aggregazione dei pesci (FAD, Fishing Aggregating Devices) pericolosi per gli altri animali (alcuni in via di estinzione) e non biodegradabili;
violazioni dei diritti umani in mare.

Limitare la pesca eccessiva, combattere la pesca illegale, ricostituire gli stock ittici sovrasfruttati, mantenere le catture nei limiti dell'ecosistema e pescare in zone biologicamente sostenibili. Sono queste le priorità per salvaguardare l'ambiente marino e il tonno che portiamo in tavola. 

Come proteggere gli stock ittici: le azioni necessarie

Oggi sono sette le specie più importanti a livello commerciale: il tonno pinna gialla (Thunnus albacares), il tonnetto striato (Katsuwonus pelamis), il tonno obeso (Thunnus obesus), il tonno bianco (Thunnus alalunga) e tre specie di tonno rosso (Thunnus Thynnus, Thunnus maccoyii, Thunnus orientalis). Il tonno pinna gialla e il tonnetto striato sono le due specie più presenti nelle conserve di tonno che compaiono sugli scaffali di supermercati italiani.

Le soluzioni per mantenere gli stock a un livello sostenibile? Più trasparenza e più controlli sulla cattura di tutti gli stock. La mancanza di un monitoraggio indipendente in molte attività di pesca del tonno rende impossibile rilevare pratiche illegali e catture accessorie di specie in via di estinzione. Un controllo permanente e indipendente da parte di osservatori umani e/o elettronici (telecamere) su tutte le navi da pesca limiterebbe molto questi rischi. 

Negli ultimi anni, sono stati compiuti grandi passi avanti sulla conservazione degli stock ittici grazie a iniziative istituzionali, tra cui il programma da 50 milioni di dollari "Gestione globale sostenibile della pesca e della biodiversità nelle aree al di fuori della giurisdizione nazionale", cofinanziato dalle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep) e dalla FAO. Grazie a questo piano, tra il 2014 e il 2019 il numero dei principali stock di tonno sottoposti a pesca eccessiva è sceso da 13 a 5. Inoltre, sono state ridotte le catture accessorie, anche grazie a workshop con i pescatori e allo sviluppo di FAD (Fish Aggregating Device) più rispettosi sia degli altri animali sia degli oceani.

Notizie rassicuranti sul fronte della conservazione degli stock più commercializzati in Italia (ma non solo) e a rischio di pesca intensiva arrivano anche dal report "Status of the World Fisheries for Tuna – March 2025" dell'ISSF (International Seafood Sustainability Foundation), che ha valutato lo stato e la gestione di 23 importanti stock commerciali di tonno, tra cui 5 di tonnetto striato e 4 di tonno a pinna gialla. In nessuno di questi 9 stock sono stati riscontrati casi di pesca eccessiva e di sovrasfruttamento.

Infine, le specie pinna gialla e tonnetto striato sono state inserite nella categoria "Minore preoccupazione" nella red list pubblicata dall'IUCN (International Union for Conservation of Nature and Natural Resources) nel 2021, in una scala che parte da questo livello per arrivare fino a "Estinta". Ai dati positivi presentati dall'IUCN sulla ripresa degli stock di tonno più commerciali, però, fa da contraltare la preoccupazione crescente per altre specie marine – come squali e razze – sulle quali incombe ancora il pericolo di estinzione proprio a causa della pesca intensiva, aggravata dal degrado dell'habitat marino e dal cambiamento climatico.

Bycatch: come i metodi di pesca del tonno mettono a rischio altri animali

Uno dei tasti più dolenti di questo settore è il "bycatch", ovvero la cattura involontaria durante la pesca del tonno di altri pesci o animali, anche di specie protette (come uccelli marini, delfini, tartarughe, squali, razze, spugne e coralli), che nella maggior parte dei casi non sopravvivono. Le catture accessorie rappresentano, dunque, una grave minaccia per la conservazione della biodiversità marina. 

La responsabilità di quella che non è eccessivo chiamare mattanza va alle tecniche di pesca più utilizzate, che non permettono una cattura selettiva delle sole specie commercializzabili. Il metodo più a rischio di bycatch è la pesca a strascico, ma anche quelli con le reti a circuizione (il più utilizzato) e con i palangari non sono ancora abbastanza selettivi soprattutto quando sono utilizzati insieme ai FAD (dispositivi di aggregazione dei pesci), anche se sono allo studio sistemi per rendere gli attrezzi meno pericolosi per gli altri animali. Attualmente solo la pesca a canna, che consente di catturare i tonni uno a uno, abbatte il rischio di catture accidentali.

Il report "Tuna Fisheries' Impacts On Non-Tuna Species And Other Environmental Aspects 2025" dell'ISSF conferma che la maggior parte dei principali metodi di pesca dal tonno ha un impatto su altri animali e sugli habitat e/o ecosistemi marini. In alcune regioni, per esempio, le flotte con reti a circuizione utilizzano ancora FAD dotati di una struttura composta da vecchie reti che rischiano di intrappolare squali e altri pesci. Attrezzi da pesca e FAD abbandonati, persi o scartati, peraltro, danneggiano gli habitat e gli ecosistemi marini, perché continuano a catturare gli abitanti del mare (pesca fantasma) e producono inquinamento.

Sempre secondo l’International Seafood Sustainability Foundation (ISSF) circa il 66% delle catture di tonno a livello globale viene effettuato con reti a circuizione, seguito da palangari (9%) e lenze a canna (7%).

Rete a circuizione (purse seine)

rete a circuizione

Le grandi reti calate dai pescherecci rappresentano il metodo più diffuso per pescare il tonno, soprattutto il tonnetto striato. Il problema è che spesso vengono utilizzati anche i FAD, cioè dispositivi di aggregazione dei pesci - come oggetti galleggianti rudimentali (per esempio zattere di bambù) o sofisticati (come piattaforme con sonar) - che attirano i tonni nel punto in cui verrà gettata la rete, ma spesso anche altri pesci. Le reti a circuizione su banchi liberi senza utilizzo di FAD, invece, limitano il rischio d bycatch.

Palangari (longlining)

palangari

I pescherecci con i palangari dispongono di cavi di nylon lunghi anche decine di miglia, su cui vengono attaccate centinaia di lenze e relativi ami. L'utilizzo di ami circolari, in sostituzione di quelli tradizionali "a J", contribuisce a ridurre la cattura accidentale di tartarughe marine e la mortalità di altri pesci, tra cui squali e razze. Anche in questo caso, l'utilizzo dei FAD aumenta il rischio di bycatch

Pesca a canna

pesca a canna

Di solito si svolge non lontano dalle coste, a bordo di pescherecci più piccoli, che ospitano poche decine di pescatori. Una volta individuato il branco si getta la lenza, composta da un lungo cavo sul quale sono inseriti uno o più ami. I tonni sono pescati uno a uno, quindi il metodo è molto selettivo, ma come è facile intuire, risulta anche molto più faticoso per i lavoratori.

Zone FAO: dove si pesca il tonno in modo più sostenibile

Da dove arriva il tonno che finisce sulle nostre tavole? Sulle etichette di alcuni prodotti, questa informazione viene espressa con una sigla: FAO 61, per esempio, che corrisponde all’Oceano pacifico. La Food and Agriculture Organization of the United Nations, infatti, ha mappato tutte le aree marine globali, attribuendo a ogni zona un numero identificativo. Un preciso sistema di classificazione che non consente solo di risalire alla provenienza del pesce, ma anche di capire se è stato pescato in un’area "buona", dove cioè gli stock non sono sovrasfruttati (stock ittici sostenibili) e i metodi di pesca sono più selettivi, cioè a basso rischio di catture accessorie. 

Un valido supporto per identificare le aree di pesca FAO più o meno sostenibili è la "Guida pesci e frutti di mare"  del WWF, che indica le zone "da preferire" o "seconda scelta" (stock ittici stabili e non sovrasfruttati, e/o pesci catturati con metodi sostenibili) e quelle “da evitare” (stock sovrasfruttati e metodi di pesca dannosi per l’ambiente e gli altri animali). 
La tabellina qui sotto, che incrocia i dati della guida del WWF con quelli forniti dall’ISSF, può essere d’aiuto quando le confezioni di tonno non offrono informazioni complete.

Le zone di pesca migliori o accettabili

Diritti dei pescatori: le ombre dietro la pesca del tonno

La pesca del tonno chiama in causa anche criticità etiche. I grandi pescherecci, infatti, spesso restano in alto mare per lunghi periodi di tempo grazie a navi refrigerate che recuperano il pesce pescato in mare aperto per portarlo a terra. Le prolungate condizioni di isolamento dei pescatori aumentano la probabilità di violazioni dei diritti umani. 

La conferma arriva da Greenpeace East Asia e Greenpeace Southeast Asia, che hanno esaminato i casi di dozzine di pescatori sottoposti a lavoro forzato con una media di 20 ore al giorno di attività, alimentazione insufficiente o cibo non commestibile. Nel rapporto Choppy Waters, pubblicato nel 2020, un pescatore che lavorava a bordo del "Longliner A" taiwanese racconta: "Dormivamo solo cinque ore se e quando prendevamo qualche pesce. Quando non catturavamo nulla, dovevamo continuare a lavorare, anche per 34 ore di fila. Se fosse possibile, vorrei cambiare la quantità di tempo a nostra disposizione per lavorare e riposare, per soddisfare i bisogni del corpo umano. Ci deve essere un modo per renderlo più equilibrato, proprio come fanno le persone che lavorano sulla terraferma".

Altre zone d'ombra collegate alla navigazione in alto mare riguardano il mancato accesso a Internet o al servizio telefonico per mesi, che rende impossibile verificare se lo stipendio è stato inviato alle famiglie. Inoltre, è pratica comune per i capitani confiscare passaporti o altri documenti di identità per limitare la libertà di spostamento dei lavoratori.

Oltre a ostacolare la pesca illegale e le catture accessorie, un monitoraggio indipendente sulle navi da pesca industriali limiterebbe anche questo genere di abusi e permetterebbe un controllo reale sul rispetto dei diritti umani. 

Certificazioni di sostenibilità nel tonno in scatola: quali contano davvero

Tra i prodotti che troviamo nei supermercati, alcuni sono accompagnati dal logo di una delle certificazioni di parti terze indipendenti che riguardano questo settore, da non confondere con i claim che "pubblicizzano" iniziative aziendali e che il produttore può autoassegnarsi per vantare la sostenibilità (presunta o reale) del brand. 

In generale, le certificazioni garantiscono (o dovrebbero garantire) il rispetto di determinatati requisiti ambientali e/o etici durante la produzione e commercializzazione di un prodotto. Per i consumatori, dunque, rappresentano uno dei pochi strumenti concreti per soppesare la sostenibilità di ciò che acquistano. Ma il sistema delle certificazioni non è ancora trasparente come vorremmo, visto il confitto di interessi legato al fatto che il controllato (il produttore) paga il controllore (l’ente certificatore). In secondo luogo, le certificazioni non sono tutte uguali: alcune comprendono standard severi sia ambientali sia etici e prevedono controlli (audit) frequenti sul loro rispetto, mentre altre sono più limitate, più vaghe o, ancora, poco limpide. 

Pur con tutti questi limiti, una certificazione è un valore aggiunto per chi è attento alla sostenibilità di ciò che acquista. Nel settore del tonno in scatola, le certificazioni più utilizzate sono quattro.

1. Marine Stewardship Council

pesca sostenibile e certificata

Nata nel 1997, Marine Stewardship Council (MSC) è la più diffusa certificazione a livello mondiale per i prodotti ittici, nonché quella più "robusta". Le sue attività di pesca certificate rappresentano il 14% di tutte le catture di pesce, sbarcate nei porti di tutto il mondo.

Un’attività di pesca ottiene la certificazione MSC se assicura:

• stock ittici sostenibili;
• riduzione al minimo dell’impatto ambientale (altre specie e habitat);
• gestione efficace nel rispetto delle leggi internazionali e adattamento alle mutevoli circostanze ambientali.

La certificazione MSC è gestita da organismi indipendenti, chiamati CAB (Conformity Assessment Bodies), che valutano la conformità agli standard per la pesca sostenibile e le catene di approvvigionamento. Per mitigare rischi di integrità del sistema, tra cui i conflitti di interesse, MSC ha incorporato diverse misure di sicurezza, tra le quali la pubblicazione dei rapporti di valutazione online

Il sito è molto approfondito e copre un ampio ventaglio di tematiche, sono presenti numerosi report scientifici e persino ricettari. Peccato che non sia disponibile una lista dei prodotti certificati. È possibile mappare le navi da pesca, ma l’informazione è poco utile per le scelte di acquisto perché non è collegata ai brand che commercializzano il pescato e poco accessibile, visto che è disponibile solo in inglese.

2. Friend of the Sea

Friend of sea

Creata nel 2008, Friend of the Sea (FOS) è tra i maggiori standard di certificazione per prodotti e servizi che dichiarano di impegnarsi per la tutela dell'ambiente marino. Promuove anche progetti pilota relativi a ristoranti, trasporto marittimo sostenibile, whale e dolphin-watching, acquari, pesci ornamentali e creme UV. Lo schema prevede enti nazionali di accreditamento, criteri di tracciabilità, audit annuali in loco da parte di enti di certificazione indipendenti.

I criteri di FOS per la pesca sostenibile richiedono:
• il non sovrasfruttamento degli stock ittici come indicato dalla FAO, dagli enti regionali e dalle autorità nazionali per la pesca;
• l'abolizione di tecniche fortemente impattanti sul fondale marino;
• attrezzature di pesca selettive (massimo 8% di scarto);
• nessuna cattura accessoria elencata come “vulnerabile” o presente nella Lista rossa dell'Unione Mondiale per la Conservazione della Natura (IUCN);
• rispetto dei requisiti legali (come dimensione delle maglie delle reti ecc.);
• gestione dei rifiuti e dell’energia;
• responsabilità sociale;
• uso di dispositivi di concentrazione dei pesci (DCP/FDA) non impiglianti.

3. Dolphin Safe Fishing

Dolphin safe

Lo standard di Dolphin Safe è stato definito nel 1982 dal Marine Mammal Project (IMMP), un progetto dell'Earth Island Institute. Certifica le aziende produttrici di tonno che garantiscono di non acquistare pesce pescato con metodi che espongono i delfini al rischio di cattura accessoria. Oggi, oltre il 95% della produzione mondiale di tonno in scatola proviene da navi che utilizzano metodi di pesca Dolphin Safe, che coprono più di 800 aziende in 76 Paesi in tutto il mondo. Sul sito è possibile vedere la lista delle aziende monitorate, ma è un file da scaricare non di semplice consultazione per i non addetti ai lavori. 

Purtroppo non abbiamo trovato altre informazioni pubblicamente disponibili sull’iter e i costi per la richiesta della certificazione e i relativi servizi di audit. Visto che il criterio principale di rilascio del marchio è l’assenza di cattura intenzionale di delfini, in mancanza di informazioni dettagliate e in presenza di iniziative di regolamentazione a livello europeo e internazionale in questo senso, riteniamo la presenza del logo poco rilevante per la scelta di acquisto del tonno. 

4. AENOR

AENOR

AENOR è stata fondata nel gennaio 2017 ed è un’azienda che si occupa della valutazione della conformità attraverso servizi di certificazione. Quella sul tonno riguarda da un lato le tonniere con reti a circuizione con congelatore basata sulla norma UNE 195006, dall’altro la tracciabilità del prodotto, quella che vediamo sulle confezioni del tonno. 

Gli standard coperti da questa certificazione sono molto estesi:

• condizioni di lavoro: condizioni sociali e di sicurezza conformi alla Convenzione 188 dell'Organizzazione internazionale del lavoro;
• controllo dell'attività di pesca: licenza e autorizzazione dello Stato di bandiera; sistema di geolocalizzazione satellitare; giornale di pesca; certificati di cattura ecc.;
• controllo sanitario: registrazione sanitaria;
• controllo marittimo: documentazione di base della nave, classificazione delle navi, compreso il carico a congelamento rapido, registrazione sanitaria ecc.;
• buone pratiche di pesca: uso di piantine che riducono le reti da posta delle specie associate; manovre di rilascio delle specie associate; osservatori a bordo umani o elettronici nel 100% dell'attività di pesca, ecc.

Non abbiamo trovato informazioni dettagliate per quanto riguarda modalità e frequenza degli audit e relativi sistemi di accreditamento, un aspetto che indebolisce questa certificazione. È indicato solo che le industrie della pesca che vogliono utilizzare il marchio AENOR APR nei loro prodotti a base di tonno devono essere valutate secondo i requisiti della tracciabilità, dimostrando che tutto il tonno etichettato con il marchio AENOR proviene da navi certificate APR in UNE 195006. Per il consumatore l’informazione disponibile è incompleta, non trasparente.

Come scegliere un tonno più sostenibile

Nonostante i progressi compiuti, le campagne di sensibilizzazione e l’impegno delle istituzioni intergovernative, delle Ong e delle aziende più sensibili, quello del tonno resta un settore ancora insostenibile. Noi possiamo fare qualcosa per contribuire a invertire la rotta? Sì, prima di tutto limitando i consumi di questo pesce a favore di alternative in scatola altrettanto gustose e nutrienti, come sgombro o sardine. E poi acquistando solo i marchi che offrono più garanzie di impegno e trasparenza attraverso una o più certificazioni, ma soprattutto chiare informazioni su quello che c’è davvero nella scatoletta.

Le informazioni da cercare sulla confezione per capire se un tonno è sostenibile sono tre: specie, metodo di cattura e area di pesca (che può essere espressa con la sigla FAO + un numero che indica il mare in cui il tonno è stato pescato). Questi dati non sono obbligatori per legge, ma a chi li fornisce spontaneamente va un nota di merito.

Al supermercato mettere nel carrello prodotti che coniugano qualità e sostenibilità è possibile, come conferma anche il nostro ultimo test sul tonno in scatola sott’olio. Per aiutarvi nella scelta, siamo andati a ricontrollare le informazioni relative alla sostenibilità presenti sulle confezioni dei tonni in scatola del test che erano risultati di qualità "ottima".  

Il marchio più sostenibile in assoluto, tra quelli testati nel 2024? Si riconferma Rio Mare Tonno all'olio di oliva Pescato a canna, che aveva conquistato anche il titolo di Migliore del Test. Sulla sua confezione abbiamo trovato tutte le informazioni indispensabili (ma non obbligatorie) per valutarne la sostenibilità, cioè specie, metodo e zona di pesca. Leggendo l’etichetta, infatti, si evince che si porterà in tavola un tonnetto striato pescato a canna nell'Oceano pacifico occidentale, zona FAO 71, in una zona cioè che la "Guida pesci e frutti di mare" del WWF indica "da preferire" perché in quell’area gli stock ittici non sono sovrasfruttati e i pesci catturati con metodi sostenibili, come la pesca a canna.

pescato a canna

Tra i tonni qualitativamente “ottimi” del test, altri due prodotti si sono distinti per un maggiore impegno verso la sostenibilità:

• Consorcio Tonno in olio di oliva, che ha introdotto la certificazione AENOR, con standard ambientali ed  etici; 

Tonno Consorcio

• Rio Mare Tonno all’olio di oliva Filodolio, l'unico del test con la certificazione MSC (Marine Stewardship Council), una dei marchi ambientali più "robusti" tra quelli che certificano una pesca più sostenibile.

Filo d'olio

Consigli pratici per un consumo responsabile di tonno in scatola

Il tonno in scatola è presente in (quasi) tutte le dispense d'Italia per tante ragioni. È una buona fonte di proteine e di alcune vitamine essenziali, come la B12. Si presta ai piatti più disparati (caldi e freddi) in qualunque stagione, piace a tutti e ha un prezzo contenuto. Ma la parola d'ordine è: limitare il consumo. Per la salute nostra, delle risorse marine e dei lavoratori coinvolti nella pesca.  

Un terzo degli italiani circa consuma anche tre porzioni alle settimana di tonno in scatola. È troppo. Le linee guida per una sana alimentazione del Crea e la salutare dieta mediterranea consigliano una scatoletta di tonno sgocciolato alla settimana, perché non è pesce fresco né lo può sostituire. Il tonno, poi, può essere alternato anche ad altri pesci in conserva nutrizionalmente validi, come le alici e lo sgombro.  

Ridurre il consumo di tonno può avere anche un impatto positivo in termini di sostenibilità etico-ambientale, soprattutto per contrastare la pesca intensiva e limitare il rischio di sovrasfruttamento delle specie più commercializzabili, come il tonno a pinna gialla e il tonnetto striato. 

Per l’ambiente e per il portafoglio, infine:
• scegliere prodotti che riportano sulla confezione specie, metodo di cattura e area di pesca, preferendo quelli pescati in aree “buone” e con attrezzi di pesca più sostenibili (come le lenze a canna o le reti a circuizione senza FAD);
• non buttare l’olio del tonno nel lavandino perché inquina: se non viene consumato, va smaltito correttamente, cioè raccolto e portato alle isole ecologiche dedicate se il proprio Comune non predispone una raccolta diretta;
• meglio scegliere il tonno in lattina: costa meno di quello in vetro e, come confermato dai risultati del nostro test, non è inferiore né sulla qualità né sulla sicurezza.

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