A livello mondiale la denutrizione colpisce quasi 800 milioni di persone, in particolare donne e bambini. Le principali cause della fame nel mondo sono:la carenza di cibo sano a prezzi accessibili, le guerre, le disuguaglianze sociali ed economiche, gli ambienti insalubri, la scarsità di acqua potabile e sicura, la fragilità del sistema economico.
Ma la fame si può misurare
L’Indice globale della fame (noto anche con la sigla GHI, dall’inglese Global hunger index) è uno dei rapporti più autorevoli sulla fame nel mondo. Un fenomeno che viene, appunto, misurato attraverso un punteggio che è il risultato di quattro indicatori.
Il primo è la denutrizione, cioè la percentuale di popolazione che non assume calorie a sufficienza. Poi ci sono: il deperimento infantile e l’arresto della crescita. Entrambi si riferiscono ai bambini al di sotto dei cinque anni, ma nel primo caso se il peso è troppo basso in rapporto all’altezza, nel secondo invece se l’altezza è insufficiente in rapporto all’età.
Infine c’è il tasso di mortalità dei bambini, sempre al di sotto dei cinque anni.
Come interpretare i numeri? Ogni Stato riceve una valutazione su una scala che va da 0 a 100: più alto è il punteggio, più grave è la situazione. Più nello specifico, un punteggio inferiore a 10 è rassicurante. Da 10 a 19,9 la fame è moderata, da 20 a 34,9 è grave, da 35 a 49,9 è allarmante e da 50 in su è estremamente allarmante.
Per riempire le quattro caselle ed elaborare dunque il GHI, i ricercatori attingono a dati ufficiali, pubblicati per esempio dalle varie agenzie Onu e dalla Banca mondiale. Sono 136 i Paesi esaminati nel 2023. Facendo una media tra tutti i Paesi analizzati, il punteggio di GHI 2023 è pari a 18,3 ed è quindi considerato “moderato”. Di per sé è un notevole passo avanti rispetto ai 28 punti del 2000, ma dal 2015 si è in una fase di “stallo e regressione”. In particolare, preoccupa la denutrizione: nel 2017 riguardava 571 milioni di persone, nel 2022 – dopo la pandemia di Covid 19 – 735 milioni.
Anche l'Italia non è esente dal fenomeno: 5,7 milioni sono le persone che vivono in povertà e 1,3 milioni sono i bambini che non hanno un'alimentazione adeguata.
Le Regioni in cui i livelli di fame sono più alti sono sempre l’Africa subsahariana e l’Asia meridionale. Oggi hanno entrambe un punteggio di GHI pari a 27, cioè grave. Nell’Africa subsahariana i dati allarmanti sono quelli sulla denutrizione (21,7 per cento, rispetto al 16,8 per cento del 2010-2012) e sulla mortalità infantile (7,4 per cento). Parte della colpa è degli ,eventi meteo estremi in primis le ondate di siccità. In Asia meridionale invece è altissimo il tasso di deperimento infantile: si attesta sul 14,8 per cento, più del doppio rispetto al 6 per cento dell’Africa subsahariana.
Nove i paesi in cui l’Indice globale della fame vede una situazione “allarmante”: Repubblica Centrafricana, Madagascar, Yemen, Repubblica Democratica del Congo, Lesotho, Niger, Burundi, Somalia e Sud Sudan. Dati che stridono con il secondo Obiettivo di sviluppo sostenibile, per cui la fame dovrebbe essere azzerata entro il 2030. Di questo passo, alla fine del decennio, 58 paesi non saranno nemmeno riusciti a raggiungere un livello di fame più basso.
L’Agenda 2030 si occupa di fame nel mondo
L’Agenda 2030 si pone come obiettivo quello di sradicare la fame e tutte le forme di malnutrizione in tutto il mondo nei prossimi 15 anni. A causa del rapido incremento della domanda di alimenti a livello mondiale, si stima che la loro produzione dovrebbe essere più che raddoppiata entro il 2050.
Infatti l’obiettivo 2 dell’Agenda 2030 è porre fine alla fame, raggiungere la sicurezza alimentare, migliorare l’alimentazione e promuovere l’agricoltura sostenibile.
Entro il 2030 si dovrebbero raggiungere questi risultati:
- porre fine alla fame e garantire a tutte le persone, in particolare ai poveri e ai più vulnerabili, tra cui neonati, un accesso sicuro ad un cibo nutriente e sufficiente per tutto l'anno
- porre fine a tutte le forme di malnutrizione; raggiungere, entro il 2025, i traguardi concordati a livello internazionale contro l’arresto della crescita e il deperimento nei bambini sotto i 5 anni di età; soddisfare le esigenze nutrizionali di ragazze adolescenti, donne in gravidanza e allattamento e di persone anziane
- raddoppiare la produttività agricola e il reddito dei produttori di cibo su piccola scala
- garantire sistemi di produzione alimentare sostenibili e implementare pratiche agricole resilienti, che aumentino la produttività e la produzione e che aiutino a proteggere gli ecosistemi.
Però, nonostante gli sforzi, i progressi sono insufficienti di fronte a un contesto difficile e incerto come quello che stiamo vivendo e la distanza per raggiungere gli obiettivi aumenta sempre di più. Lo dice l'edizione 2022 del Rapporto “The State of Food Security and Nutrition in the World”, pubblicato a luglio in maniera congiunta dall'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura (Fao), dal Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo (Ifad), dal Fondo delle Nazioni unite per l'infanzia (Unicef), dal Programma alimentare mondiale delle Nazioni unite (Wfp) e dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms).
Guardando al futuro, evidenzia il Rapporto, le proiezioni indicano che nel 2030 quasi 670 milioni di persone nel mondo dovranno ancora affrontare la fame. Un numero simile al 2015, quando è stato lanciato l'obiettivo Onu di porre fine alla fame, all'insicurezza alimentare e alla malnutrizione. Ciò significa che in questi nove anni nulla è cambiato e quindi la strada è ancora lunga per un cambio di passo.
Le aree di intervento
Il Rapporto suggerisce sei possibili aree di intervento per cambiare i sistemi alimentari, contrastando l’insicurezza alimentare, la malnutrizione e garantendo l'accesso a diete sane e accessibili per tutti, in modo sostenibile e inclusivo:
1) Integrare politiche umanitarie, di sviluppo e di costruzione della pace nelle aree colpite da conflitti.
2) Aumentare la resilienza climatica in tutti i sistemi alimentari.Il modo in cui produciamo cibo e utilizziamo le nostre risorse naturali può contribuire a creare un futuro positivo per il clima, dove le persone e la natura possano coesistere e prosperare.
3) Rafforzare la resilienza dei più vulnerabili alle avversità economiche.
4) Intervenire lungo le filiere alimentari per abbassare il costo dei cibi nutrienti e sani. Garantire una distribuzione più equa delle risorse, contrastando l'aumento dei prezzi alimentari.
5) Combattere povertà e disuguaglianze strutturali, garantendo interventi a favore dei poveri.
6) Informare e formare meglio per modificare il comportamento dei consumatori e promuovere modelli dietetici con impatti positivi sulla salute umana e sull'ambiente.
Servono politiche, investimenti e normative intersettoriali, capaci di coinvolgere tutti gli attori dei sistemi alimentari. Molti Paesi a basso reddito producono cibo che viene esportato, ma non riesco a sfamare la propria popolazione.
L'approccio One Health, basato sul riconoscimento delle interconnessioni tra esseri umani, animali, piante e loro ambiente condiviso, nonché sul ruolo di relazioni commerciali più eque, evidenzia la necessità di affrontare le varie sfide in modo olistico, per evitare future crisi sanitarie, risanare il pianeta e porre fine alla fame nel mondo.