Verrebbe facile (e comodo) pensare che la responsabilità di tutto questo sia da attribuire esclusivamente alla ristorazione e ai negozi di alimentari. Non è così: secondo il rapporto Unep, più della metà dello spreco alimentare si consuma proprio in ambito domestico.
Nelle case dei consumatori. Nelle nostre case. Tutti, chi più chi meno, sprechiamo cibo. Quanto? In Italia - secondo l’ultimo rapporto dell’Osservatorio Waste Watcher International di Last Minute Market/Spreco Zero, realizzato su monitoraggio Ipsos/Università di Bologna - siamo a quota 35,5 kg pro capite all’anno. Ogni italiano, cioè, butta via nel bidone dell’umido circa 3 kg di cibo al mese, soprattutto frutta, verdura, pane fresco.
“Dimezzare lo speco alimentare” è uno dei 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile che l’Assemblea generale delle Nazioni Unite chiede di raggiungere entro il 2030. Possiamo dire di essere a buon punto? Mica tanto. Rispetto al 2023, quest’anno lo spreco alimentare registra uno sconsolante +8 45,6%, mentre aumenta sensibilmente il numero di coloro che – complice l’inflazione - fanno fatica ad arrivare a fine mese e che sono scivolati nell’insicurezza alimentare. Ciò significa che il potere di acquisto più basso non ha spinto i consumatori a risparmiare sprecando meno cibo, ma a orientarsi verso cibo più economico e in alcuni casi più scadente, facile a deteriorarsi e essere buttato. A scapito della salute, del portafogli e dell’ambiente.
Restituire valore al cibo è un dovere di tutti. Di chi lo produce, di chi lo vende e di chi lo acquista, lungo tutta la filiera che parte dai campi o dagli allevamenti e che finisce sulle nostre tavole. Significa fare più attenzione a ciò che si produce e a come si produce (nel rispetto dell’ambiente, dei lavoratori e delle comunità locali), a quel che si compra e a come si compra, ai comportamenti che adottiamo in cucina tra fornelli e frigorifero. Piccoli gesti che possono promuovere un grande cambiamento. Sprecare cibo (e tempo) non è più un’opzione.