venerdì 10 ottobre 2025

Un italiano su quattro convive con ansia o depressione: l’indagine

Oltre un miliardo di persone nel mondo oggi convive con ansia, depressione e altri disturbi mentali. E nel nostro Paese? Una nuova indagine di Altroconsumo rivela come sta davvero la popolazione italiana, tra disagio psicologico, difficoltà di accesso alle cure e segnali di cambiamento.


Altrocurare
di Lorenza Resuli
illustrazione salute mentale

Dai tavoli dell’Oms ai piani d’azione nazionali, la salute mentale è riconosciuta come una delle sfide globali più urgenti del nostro tempo, nonché una priorità trasversale nelle politiche pubbliche di tutti i Paesi, Italia compresa. Il disagio psicologico, infatti, si sta diffondendo come un’epidemia silenziosa, alimentata da solitudine, precarietà economica, instabilità geopolitica, crisi climatica e un diffuso senso di incertezza verso il futuro.

È un’onda lunga, innescata dalla pandemia, che non si è mai arrestata. Al contrario, continua ad avanzare, travolgendo individui, famiglie e sistemi sanitari in ogni angolo del mondo. Se non sarà contenuta al più presto, attraverso strumenti adeguati e risorse sufficienti, rischia di trasformarsi in uno tsunami globale, con ricadute drammatiche non solo sul piano umano e sociale, ma anche su quello economico. Non si tratta di allarmismo, ma di una realtà confermata dai numeri. 

Una nuova fotografia della salute mentale in Italia

Secondo gli ultimi due report pubblicati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità a settembre 2025 - World mental health today e Mental Health Atlas 2024 -  i disturbi mentali rappresentano oggi la seconda causa di disabilità a lungo termine a livello mondiale, ma anche una delle principali voci di perdita di anni di vita in buona salute. I costi sia diretti sia indiretti – tra cure, produttività persa e sostegno sociale - sono elevatissimi. Basti pensare che depressione e ansia, da sole, costano all'economia globale circa 1 trilione di dollari all'anno. E in Italia? 

Le ultime edizioni del Mind Health Report, condotte annualmente da Axa e Ipsos, stimano che nel 2023 il 28% di italiani soffriva di un disturbo mentale. Nel 2024 la percentuale è scesa al 27%, segnale comunque di un leggero miglioramento nella percezione del benessere mentale. Che cos'è cambiato a distanza di un anno? Il disagio psicologico ha continuato la sua parabola discendente o sta tornando a crescere? Quando si manifesta, viene riconosciuto oppure ignorato? E in che modo, infine, viene affrontato? 

Per rispondere a queste domande e aggiornare il quadro nazionale sulla salute mentale, Altroconsumo ha condotto nel luglio 2025 una nuova indagine, coinvolgendo un campione rappresentativo di 1.001 persone tra i 18 e i 79 anni, bilanciato per genere, livello di istruzione e area geografica. I risultati restituiscono una fotografia attuale della salute mentale nel nostro Paese, utile anche per individuare gli ostacoli – sociali, economici e culturali – che ancora limitano l’accesso alle cure. 

Il disagio psicologico è sempre più diffuso

I numeri parlano chiaro: il malessere psicologico non mostra segni di rallentamento. Anzi sembra essere cresciuto in modo preoccupante nel nostro Paese. Dall’indagine di Altroconsumo emerge che quasi 4 italiani su 10 - ovvero il 38% del campione - dichiarano di aver vissuto un disagio mentale o emotivo negli ultimi tre anni. Una percentuale significativa, che racconta un fenomeno tutt’altro che marginale.

Osservando più da vicino i dati, si scopre che le più colpite dal disagio psicoemotivo sono le donne sotto i 44 anni: una fascia della popolazione già sottoposta a forti pressioni familiari e lavorative, che sembra pagare un prezzo particolarmente alto in termini di benessere mentale.

Ma non è solo la diffusione del malessere a colpire: anche la tipologia dei disturbi più comuni dice molto sullo stato psicologico collettivo e sul clima emotivo in cui viviamo. A dominare è l’ansia, indicata dal 30% del campione. Seguono i problemi legati al sonno (insonnia, risvegli notturni ecc.), che interessano il 20% degli intervistati, e la depressione, segnalata dal 17% degli italiani coinvolti nell'indagine. Completano il quadro stress cronico e burnout, instabilità emotiva e attacchi di panico.

Visti nel loro insieme, questi segnali compongono un mosaico di sofferenza diffusa, spesso silenziosa oppure vissuta come una condizione “normale”, che si subisce nella solitudine. Un disagio che rischia di cronicizzarsi o di peggiorare, sfociando in qualcosa di più serio se non viene riconosciuto e affrontato nel modo giusto.

 

Per molti curarsi è ancora un tabù. O un lusso

Nonostante la crescente diffusione del disagio psicoemotivo, la maggior parte di chi ne soffre non ha ricevuto alcun tipo di supporto professionale. Secondo l’indagine, infatti, ben il 68% di chi ha vissuto un malessere mentale o emotivo negli ultimi tre anni non ha intrapreso alcun genere di terapia, né farmacologica né psicologica.

Le ragioni? In molti casi si tende a minimizzare il problema: il 46% degli intervistati sono convinti di potercela fare da soli, il 30% sostiene di non aver sentito il bisogno di un supporto esterno. Non meno significativo quel 23% del campione che non ha mai nemmeno considerato l’idea di chiedere aiuto, segno che il tema è ancora poco interiorizzato, soprattutto tra chi non ha familiarità con percorsi di cura o trova di fronte a sé ostacoli insormontabili ad accedervi.

Ma accanto a queste motivazioni soggettive del problema, emergono anche ostacoli oggettivi e radicati, che riguardano l’accessibilità ai servizi (il costo) e il contesto culturale (la difficoltà a parlarne).

  • Un intervistato su cinque, cioè  il 20% del campione, sostiene di non potersi permettere trattamenti così costosi.

  • Una percentuale analoga segnala il disagio nel condividere il proprio stato emotivo, a conferma che lo stigma sociale legato alla salute mentale sopravvive.

  • Tra chi sta valutando o ha valutato di iniziare un percorso terapeutico - cioè il 32% del campione - il principale ostacolo resta il costo: un limite, quello economico, che di fatto esclude molte persone da un diritto fondamentale come quello alla cura.

A chi si è rivolto, invece, chi ha deciso di curarsi? Parliamo di una minoranza: solo il 32% di chi ha avuto almeno un disturbo psicoemotivo negli ultimi tre anni, infatti, ha imboccato un percorso di cura. Tra questi, il 66% si è affidato alla psicoterapia o al supporto psicologico, mentre il 47% ha seguito un trattamento farmacologico. Un risultato che suggerisce una crescente fiducia negli strumenti della psicologia, anche all’interno di un sistema in cui l’accesso resta limitato.

Supporto psicologico: costi eccessivi, accesso difficile, ma soddisfazione elevata

Quando si tratta di affrontare un disagio mentale o emotivo, l’accesso al supporto psicologico in Italia sembra essere ancora ostacolato da barriere economiche e strutturali. L’indagine di Altroconsumo lo conferma: il 73% di chi ha avviato un percorso con lo psicologo o lo psicoterapeuta ha dovuto pagare le sedute di tasca propria, a conferma di quanto  l’offerta pubblica di questo tipo di servizi sia ancora molto limitata - o addirittura del tutto assente - in molte aree del Paese.

È un ostacolo con un impatto concreto e pesante: gli intervistati che si sono affidati al supporto psicologico hanno sostenuto una spesa media di circa 140 euro al mese, una cifra che molte famiglie non possono permettersi. Ciò significa che un bisogno reale di salute mentale rischia di trasformarsi in un privilegio riservato a pochi.

A confermare la centralità della questione economica c’è anche il dato relativo alle principali criticità segnalate da chi ha scelto questo tipo di cure: il costo eccessivo è l’ostacolo più ricorrente, indicato più spesso di altri aspetti altrettanto importanti, come l'efficacia e la durata della terapia, oppure lo stigma sociale.

Eppure, quando l’accesso è possibile i risultati sono positivi: la maggior parte delle persone coinvolte si dichiara soddisfatta o molto soddisfatta dell’esperienza. Un dato che non solo conferma la validità e l’utilità del supporto psicologico, ma che accende ancora una volta i riflettori sull’urgenza di potenziare l’offerta pubblica, rendendola più equa e capillare su tutto il territorio nazionale.

Terapia con i farmaci: più accessibile, ma con maggiori criticità

Se accedere a uno psicologo è spesso un lusso, il ricorso ai farmaci per trattare un disagio psicologico risulta molto più accessibile. In questo caso, infatti, la tendenza si inverte: nel 67% dei casi, i farmaci sono prescritti e coperti dal Servizio sanitario nazionale (SSN).

La ragione è facilmente intuibile: ottenere una prescrizione dal medico di base è molto più semplice e rapido rispetto all’accesso – spesso complesso, quando non impossibile – ai servizi pubblici di psicoterapia. Anche il divario economico è evidente: chi segue una terapia farmacologica ha speso, in media, circa 57 euro al mese, meno della metà rispetto ai 140 euro mensili necessari per un percorso psicologico privato.

Tuttavia, se l’accessibilità è maggiore, le difficoltà emergono altrove. Le problematiche segnalate da chi ha intrapreso una terapia farmacologica, infatti, non riguardano tanto il costo, quanto la gestione della cura stessa: durata eccessiva, effetti collaterali, scarsa motivazione o mancanza di supporto da parte dei famigliari.

Non sorprende, quindi, che il livello di soddisfazione espresso da chi ha seguito una terapia farmacologica sia inferiore rispetto a quello rilevato per il supporto psicologico: meno della metà del campione si dichiara pienamente soddisfatto della propria esperienza con i farmaci. Un dato che rafforza il valore del supporto psicologico all’interno di una strategia terapeutica integrata.

Più consapevolezza sull’importanza di prendersi cura del benessere psicologico

Di fronte a una malattia o a un dolore fisico, curarsi è un gesto quasi automatico: ci si rivolge a un medico, si riceve una diagnosi, si segue una terapia. Ma quando il malessere coinvolge la sfera emotiva o mentale, questo meccanismo spesso non scatta. I risultati della nostra indagine lo confermano: il disagio psicologico spesso viene ignorato, nascosto o sottovalutato.

Le ragioni sono tante: da un lato, lo stigma sociale che ancora oggi spinge molte persone a negare il disagio psicologico, a nasconderlo o a provare vergogna nel chiedere aiuto. Dall’altro, la convinzione – spesso illusoria – di potercela fare da soli, alimentata dalla difficoltà a riconoscere i segnali di sofferenza mentale e nel capire quando è il momento di  rivolgersi a un professionista.

Eppure, qualcosa sta finalmente cambiando. La percezione collettiva della salute mentale si sta pian piano evolvendo, insieme alla maggiore la consapevolezza sull’importanza di prendersi cura del proprio benessere psicologico, con la stessa attenzione riservata alla salute fisica.

A confermare questa tendenza è anche il parere espresso dagli intervistati in merito a una serie di affermazioni relative alla terapia psicologica e farmacologica: un segnale incoraggiante che lascia intravedere un possibile cambio di passo culturale.

 

Hai mai chiesto aiuto all’intelligenza artificiale?

In un’epoca in cui l’intelligenza artificiale è sempre più presente nella nostra quotidianità (non solo in ambito lavorativo), l’indagine ha voluto sondare se, tra gli intervistati, qualcuno l’abbia mai interpellata in un momento di difficoltà personale. La risposta? Il 26% del campione complessivo, e addirittura il 33% tra chi ha vissuto un disagio psicologico negli ultimi tre anni, ha ammesso di essersi affidato all’AI, anche solo per ricevere un consiglio, sfogarsi o trovare un momento di conforto.

Non sorprende che siano soprattutto gli under 27 a rivolgersi più spesso a strumenti come ChatGPT & Co. A colpire, invece, è il motivo per cui lo fanno: non tanto per cercare risposte tecniche o consigli pratici, quanto per trovare un contatto “umano” anche se virtuale.

Un risultato che deve far riflettere sul ruolo che l’intelligenza artificiale sta assumendo nell’esistenza delle nuove generazioni, soprattutto quando si tratta di solitudine, vulnerabilità e bisogni emotivi.

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