venerdì 20 settembre 2024

Se abitare è “essere”, dove stiamo dunque andando?

Altroconsumo

parole di

Alessandro Maggioni

Presidente nazionale di Confcooperative Habitat

La casa non è solo un bene economico: è luogo di identità, memoria e relazioni. Il presidente nazionale di Confcooperative Habitat Alessandro Maggioni riflette sul senso profondo dell’abitare e propone la cooperazione come antidoto all’urbanistica dominata dalla finanza e priva di visione.

mano apre porta e chiave nella toppa

“Dove stiamo dunque andando?”. Domanda l’Enrico di Ofterdingen ai viandanti: “Sempre verso casa” è la loro risposta. Il vettore della nostalgia originaria è sempre puntato all’abitare, come l’ago della bussola che fatalmente torna a indicare il nord magnetico. E questo perché “abitare” è essenzialmente essere posti nella pace, vuol dire: “Rimanere nella protezione entro ciò che ci è parente e ci libera dal male...e ha cura di ogni cosa nella sua essenza”. (Riccardo Paradisi)

 

Questo illuminante passo del filosofo Riccardo Paradisi, che ha messo assieme una domanda di Novalis e una risposta di Heidegger, ci pone – come cooperatori di abitazione, come urbanisti ma, direi, soprattutto – come umani abitanti della terra, una profonda questione di senso.

L’abitare un luogo è la forma con cui esistiamo; un legame intimo tra gli aspetti identitari, mnemonici e linguistici. E un luogo si abita attraverso un mezzo che è la casa.

Per questa ragione, attraverso salti logici brutali e semplicistici, mi sento di dire che la casa non è solo un bene economico, non è un bene posizionale bensì, in un contesto ideale è sì un bene economico ma anche e soprattutto un bene relazionale.

Purtroppo, in questi ultimi anni, caratterizzati da una ruggente avanzata in ogni campo della logica finanziaria a scapito non solo di una logica di carattere socio-economico ma a scapito anche di una logica economico imprenditoriale, anche la casa e la città sono state intaccate da questa ideologia tanto settaria quanto spietata. La città, luogo complesso dove la dimensione del bene collettivo dovrebbe essere l’ordito su cui tessere una tela di convivenza tra esigenze di vita, economia, tempo libero e replicazione simbolica, è divenuta una sorta di omologata e omologante “tavola neutra” per le scorribande delle locuste finanziarie (uso tale termine con cognizione di causa poiché ci sono fondi, per l’appunto, denominati “locusta”) che agiscono sulla città in una pura logica estrattiva.

Tutto ciò può avere un senso quando si parla di terziario, commercio, lusso – seppur sempre in un quadro di regolazione pubblica – ma diviene deleterio quando si applica meccanicamente alla funzione residenziale e a quella turistica (che ha effetti a cascata sugli squilibri residenziali). L’esito è sotto agli occhi di tutti: le città dell’Occidente sono città da esibire su Instagram o roba simile ma divenute pressoché inaccessibili ai più.

Luoghi ameni per chi può permettersi una vita agiata, faticose per i lavoratori e lavoratrici del ceto medio – essenziali alla vita stessa degli organismi urbani – e crogioli di rabbia repressa nelle periferie.

Dove stiamo dunque andando? Mi verrebbe da dire che stiamo andando in una direzione priva di senso. Stiamo andando nel caos.

Ma un antidoto, magari omeopatico, a tale mancanza di direzione c’è. Ed è la cooperazione. E non dico questo per dovere d’ufficio, ma per intima convinzione.

La cooperazione è una forma di impresa economica – di secondo settore e non di “terzo settore” – riconosciuta, sostenuta e valorizzata dai padri costituenti nell’articolo 45 della Costituzione Repubblicana, articolo che dice che “La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata […]”. Una forma di impresa, dunque, che per sua natura costitutiva non ha il fine – legittimo – del profitto, bensì quello della risposta a un bisogno. La casa, per l’appunto, nella cooperazione abitativa. E per arrivare all’obiettivo della risposta a questo bisogno – il cosiddetto “scambio mutualistico” – i soci di una cooperativa, che sono persone in carne e ossa, compiono un lungo viaggio fatto di partecipazione, assemblee, fatiche, discussioni, scelte da prendere secondo criteri democratici, confronto, che li porterà ad avere la migliore casa al minor prezzo. Stando dentro un processo complesso che, in un certo senso, educa alla fatica della democrazia e applica il principio non della estrazione e concentrazione di valore, bensì della condivisione e della redistribuzione dello stesso. In un legame autentico con il territorio, per andare verso un luogo – la casa – in cui ci si senta protetti e parte di una città.

La cooperativa, società di persone e non di capitale, è dunque uno strumento tanto antico quanto attuale. Per scavare ancora un solco nella terra che non solo possa dare buoni frutti ma, al contempo, indicare una linea di senso verso cui andare.

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