venerdì 24 maggio 2024

Gli Italiani e il turismo sostenibile

Conoscono piuttosto bene il problema dell’overtourism, il turismo di massa che colpisce tanto le città d’arte quanto i paradisi naturali. Riconoscono l’urgenza di combatterlo, nonché il ruolo chiave in questa lotta dei turisti stessi. Gli “altri” turisti, però. Quando si tratta di riconoscere le proprie responsabilità e di impegnarsi in prima persona, infatti, i nostri concittadini tendono a fare un passo indietro.

Altroviaggiare
di Lorenza Resuli
valigia fatta con foglie verdi

Da Tenerife a Venezia, da Amsterdam a Como è allarme overtourism. Un tema sempre più caldo, quello del turismo “insostenibile”, sul quale la maggior parte degli italiani ha ormai conquistato un discreto livello di conoscenza e consapevolezza. Molti oggi sono in grado di inquadrarlo correttamente e tutti concordano sull’importanza di correre ai ripari per “salvare” i luoghi più colpiti. Ma in che modo? Quando si scende sul terreno scivoloso delle cause e delle soluzioni possibili le posizioni si dividono, facendo emergere tutta la complessità del problema e anche la resistenza sia a riconoscere le proprie responsabilità sia a impegnarsi in prima persona per cambiare rotta. Sono questi, in sintesi, i dati salienti dell’indagine “Gli italiani e il turismo sostenibile” realizzata da Ipsos e Altroconsumo, coinvolgendo un campione rappresentativo della popolazione italiana, ovvero 1.000 cittadini dai 18 anni in su. A estate appena iniziata, l’inchiesta offre diversi spunti di riflessione e consente di misurare il grado di “maturazione” in tema di sostenibilità raggiunto dai nostri connazionali su uno dei settori più inquinanti del Pianeta: quello del turismo. Che chiama in causa quasi tutti, visto che tra giugno e settembre l’83% degli intervistati dichiara che andrà sicuramente in vacanza.  Di questi, il 60% a marzo aveva addirittura già scelto la destinazione. Indovinate? L’Italia.

Italia, mon amour

Ben oltre la metà degli italiani decide di trascorrere le vacanze dentro i magnifici confini nazionali, ma il Belpaese calamita da sempre orde di turisti stranieri, austriaci e svizzeri in testa. Che, però, non si distribuiscono lungo tutto lo Stivale. Ben il 70% di chi arriva dall’estero - ci fa sapere l’Istat - si concentra in un fazzoletto che rappresenta l’1% del territorio italiano: Roma, Venezia, Firenze, Milano, Napoli. Irresistibili mete culturali, che non a caso soffrono da anni di una malattia cronica dai sintomi più o meno gravi, ma sempre difficile da curare: l’overtourism. Quest’anno abbiamo già sentito e letto più volte questa parola riferita alle proteste degli abitanti di Tenerife, all’introduzione del “contributo d’accesso” per chi visita Venezia, o alle misure per contenere il flusso dei visitatori introdotte ad Amsterdam. In realtà il termine anglosassone, che sintetizza l’impatto negativo del sovraffollamento turistico nelle località di particolare interesse culturale o naturalistico, circola dal 2018, ha subito una pausa d’arresto durante la pandemia e oggi sta tornando alla ribalta insieme alla crescita esponenziale dei flussi turistici post Covid. Gli italiani sanno che cos’è l’overtourism? Generalmente sì: il 38% per sommi capi, il 31% addirittura molto bene. Ed è proprio così: come sintetizza la tabella qui sotto, i partecipanti all’indagine dimostrano di conoscere veramente il significato di turismo di massa e le sue conseguenze più macroscopiche.

grafico overtourism

Nei meandri dell’overtourism

Il problema del sovraffollamento turistico, dunque, è noto. Ma come viene percepito e giudicato dai cittadini comuni? Quali sono secondo loro le cause e le soluzioni più efficaci? Sono disposti a qualche sacrificio in nome di un turismo più sostenibile? Qui il campione si divide, facendo emergere vedute e opinioni differenti. Da un lato, il 72% degli intervistati teme che la presenza eccessiva di turisti “snaturi” molti luoghi e che impedisca di vivere un’esperienza genuina, Il 69% crede che l’overtourism sia un problema reale e concorda sull’utilità di organizzare programmi di “educazione turistica” per sensibilizzare le persone verso un turismo più rispettoso. Dall’altro, la medesima percentuale di intervistati (69%) punta il dito  contro gli stessi luoghi turistici, che tanto si lamentano ma che in realtà da quel turismo sovrabbondante ricavano lauti guadagni. Una buona metà del campione poi non vuole limiti alla libertà di visitare i luoghi sovraffollati, mentre un’altra metà ritiene che viaggiare sostenibile costi ancora troppo. Infine non mancano gli ultraottimisti:  il turismo è sempre cosa buona e giusta. Tanti turisti = tanti vantaggi, sicuramente superiori ai disagi.

Un po’ di educazione, please!

Le contraddizioni che il tema overtourism immancabilmente solleva si fanno ancora più marcate scoprendo a chi spetterebbe l’onere di prendere provvedimenti per arginare il problema e quali. La risposta degli intervistati è netta: alle amministrazioni territoriali e comunali dei luoghi colpiti. Solo il 36% chiama in causa anche i turisti. Eppure ben il 63% del campione sostiene poi la tesi che il “problema turismo” non sia causato tanto dal numero di visitatori, bensì dalla loro maleducazione e per oltre la metà degli intervistati un comportamento più rispettoso da parte di tutti risolverebbe la questione senza bisogno di altri provvedimenti. Solo la metà degli intervistati appoggerebbe misure restrittive imposte dalle amministrazioni, per esempio un limite d’accesso a certi luoghi in determinati momenti dell’anno o regole generali più rigide.

Alle origini del problema

L’overtourism è evidentemente un’intricata matassa di cui si fa fatica persino a trovare il capo. Ma perché alla fine ogni soluzione sembra destinata a fallire? In primis per una questione economica. Per il 46% degli intervistati, la logica del “profitto” prevale sulle conseguenze nefaste dell’overtourism, mentre per il 45% è l’interesse dei commercianti, degli albergatori e dei ristoratori a remare contro eventuali misure taglia-turisti. In pratica, sostiene il 42% del campione, la colpa è di una visione miope e di una mentalità “chiusa”: si pensa solo i benefici economici immediati senza pensare al futuro e ai benefici della sostenibilità nel lungo periodo. Stesso discorso per i politici (a livello nazional o locale): se non si muovono, è ancora una volta solo per interessi economici.

I viaggiatori predicano bene, ma come razzolano quando pianificano la loro vacanza? Piuttosto male. Solo il 28% si dice disposto a spendere di più o a rinunciare a qualche comodità in viaggio per ridurre l’impatto ambientale del soggiorno e appena il 23% sceglie la sostenibilità come il fattore principale che guida tutte le scelte di viaggio.

 
grafico sostenibilità e scelta vacanze

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