Viviamo immersi in una “economia dell’attenzione” in cui ogni notifica, ogni scroll infinito, ogni like è studiato per catturare il nostro tempo e trasformarlo in profitto. Ma cosa accade quando il digitale smette di essere uno strumento e diventa una dipendenza? Con Giuseppe Lavenia, psicoterapeuta e presidente dell’associazione Di.Te., proviamo a orientarci tra i segnali di un legame malato con smartphone e social: irritabilità, ansia, isolamento, fino alla perdita di interesse per la vita reale. Non si tratta solo di cattive abitudini, ma di meccanismi simili a quelli che regolano le dipendenze da sostanze, radicati nel nostro cervello.
Quali sono i sintomi di una dipedenza digitale? E quali le conseguenze?
“Se il digitale smette di essere uno strumento e diventa una stampella emotiva, iniziano i segnali da non sottovalutare. Sintomi come irritabilità se si è interrotti durante l’uso, ansia se non si ha accesso allo smartphone, isolamento progressivo, perdita di interesse per attività reali, alterazioni del sonno, calo del rendimento scolastico o lavorativo sono campanelli d’allarme. La conseguenza più grave è la perdita di sé: se tutto passa da uno schermo, la vita reale sbiadisce e si rischia di confondere la connessione con il contatto umano”.
Quali sono le emozioni che i social media amplificano di più?
“I social non inventano emozioni. Le amplificano, le distorcono, le rendono pubbliche. Le più amplificate? L’invidia, la rabbia, la paura di essere esclusi. Ma anche l’illusione dell’approvazione continua, che ci spinge a rincorrere like come fossero carezze emotive. E nel frattempo, silenziosamente, cresce un senso di vuoto. Perché non c’è nulla di più frustrante che sentirsi invisibili, proprio in un luogo in cui tutti sembrano brillare”.
È una dipendenza simile a quella dalla nicotina o dall’alcol?
“Sì, è un fatto neuroscientifico. Le aree cerebrali coinvolte sono le stesse: il circuito della ricompensa, la dopamina, la ricerca compulsiva dello stimolo. Il problema non è la tecnologia in sé, ma come la usiamo per anestetizzare le emozioni, per fuggire dalla noia, dalla solitudine, dalla fatica del reale. E così, senza capirlo, entriamo in un meccanismo identico a quello delle dipendenze classiche: ne vogliamo sempre di più, anche se ci fa sempre più male”.
Quanto influisce l’IA e quanto potrà aggravare il fenomeno dell’isolamento sociale giovanile?
“L’intelligenza artificiale non è solo uno strumento, è un acceleratore di dinamiche già fragili. Se un ragazzo si rifugia nel digitale per non affrontare la vita, l’IA gli offrirà una realtà su misura, rassicurante, prevedibile, senza frustrazione, ma anche senza crescita. Si crea l’illusione dell’autosufficienza digitale: ‘Non ho bisogno di nessuno, mi basta l’algoritmo’”.