La prima è stata Torino che, con una delibera del consiglio comunale approvata nell’aprile 2024, ha imposto il divieto di fumare all’aperto nel raggio di 5 metri da altre persone senza un loro esplicito consenso e comunque mai in presenza di minori o donne in gravidanza. Milano ha seguito l’esempio sabaudo e, con il nuovo anno, anche nel capoluogo lombardo è scattato il divieto di accendere le sigarette tradizionali in tutte le aree all’aperto a meno di 10 metri di distanza da altre persone. Una stretta preannunciata, visto che il divieto è stato incluso nel regolamento per la qualità dell’aria entrato in vigore nel 2021, che di fumare nei parchi, nelle aree attrezzate destinate al gioco, allo sport o alle attività ricreative dei bambini, nelle fermate di tram, autobus e filobus, nei cimiteri, nelle aree cani e in tutte le infrastrutture sportive e sempre in presenza di donne incinte.
Due comuni virtuosi più realisti del re. Oggi, infatti, a livello nazionale le uniche aree pubbliche all’aperto dove è vietato fumare le sigarette sono quelle esterne alle strutture scolastiche e a quelle ospedaliere. Per il resto, liberi tutti.
Nella sua annosa crociata contro il tabagismo, l’attuale ministro della Salute Orazio Schillaci ha più volte prospettato una stretta contro il fumo e la necessità di estendere il divieto a diversi spazi pubblici all’aperto, per esempio ai parchi o alle stazioni ferroviarie.
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Fumare all’aperto: l’opinione di chi fuma e non fuma
I nostri concittadini sono d’accordo con il provvedimento drastico proposto dal ministro? Appoggerebbero, cioè, lo stop al fumo nelle aree pubbliche all’aperto? Se sì, per quali ragioni e in quali circostanze farebbero scattare il divieto? È quanto abbiamo chiesto a un campione rappresentativo della popolazione italiana, tra i 18 e i 74 anni. Hanno risposto 789 cittadini, di cui un quarto fumatore abituale, percentuale che rispecchia la realtà del nostro Paese (in Italia, infatti, 1 italiano su 4 fuma).
L’indagine, messa in campo nell’ottobre 2024, ha puntato i riflettori sulle sigarette tradizionali, protagoniste della stretta del Comune di Milano, ma sondando l’opinione dei partecipanti anche sulle sigarette elettroniche (Altroconsumo si batte da tempo perché vengano equiparate alle sigarette tradizionali anche attraverso una petizione). Scopri dove è permesso e dove è vietato l'utilizzo delle sigarette elettroniche e del tabacco riscaldato.
Prima di commentare i risultati più significativi dell’inchiesta, c’è da sottolineare che quasi tutti i partecipanti alla nostra inchiesta confermano di essere esposti più o meno spesso al fumo di sigarette/svapo e che la stragrande maggioranza (fumatori compresi) si dichiara favorevole agli attuali divieti in vigore, cioè quelli relativi agli spazi esterni delle strutture scolastiche e ospedaliere.
Divieti condivisi ma ben poco rispettati, visto che al 98% degli intervistati capita di vedere altre persone che accendono la sigaretta proprio fuori da scuole/ospedali e che l’83% degli stessi fumatori confessa di trasgredire più o meno spesso la legge.
Segnali di fumo... positivi
E torniamo alla domanda iniziale: se il divieto fosse esteso ad altri luoghi pubblici all’aperto incontrerebbe il favore dei nostri intervistati? Dipende. La variabile che influenza maggiormente la risposta è l’essere o meno fumatori.
È relativamente scontato che, tra chi non ha il vizio, il sostegno al divieto di fumo sia sempre molto elevato per tutti i luoghi pubblici all’aperto esaminati dall’inchiesta, con una punta del 96% nelle aree gioco dei bambini, dell’89% nelle strutture sportive all’aperto e dell’88% nelle spiagge. E sul versante opposto, cioè quello dei fumatori, è prevedibile che le percentuali di favorevoli al divieto calino. Ma non certo quanto ci saremmo potuti aspettare!
Ben l’87% di chi fuma, infatti, appoggerebbe lo stop alle sigarette nelle aree gioco per bambini, oltre la metà estenderebbe il divieto anche alle strutture sportive outdoor e la metà alle spiagge. Un risultato inatteso, che potrebbe dimostrare una crescente maturità e senso civico (almeno nelle intenzioni) tra le fila dei fumatori.
L’indagine ha sondato anche l’opinione dei partecipanti sulla possibilità di estendere il fumo agli spazi abitativi (semi) privati. Più della metà degli intervistati sarebbe favorevole a proibire il fumo di sigarette tradizionali nelle aree comuni delle abitazioni, per esempio nei cortili e nei box (57%), e persino nei balconi delle abitazioni se sono collocati in prossimità delle finestre dei vicini di casa (52%).
Alla totalità degli intervistati è stato chiesto in quali circostanze sarebbe giusto applicare il divieto nei luoghi pubblici all’aperto in generale. La presenza nelle vicinanze di altre persone (fragili o meno che siano) è il fattore determinante per il 40% del campione, ma il 33% è meno flessibile e imporrebbe il divieto sempre e comunque, cioè anche se non c’è nessuno dei paraggi. Solo il 4%, infine, non vieterebbe il fumo in nessun caso.
La salute è la motivazione trainante
In definitiva, per quali ragioni estendere il divieto di fumare all’aperto? Prima di tutto, per limitare i danni del fumo attivo e passivo sulla salute, che preoccupano (a ragione) entrambi i fronti. Quasi la metà dei fumatori (44%), d’altro canto, ritiene che le misure restrittive rappresenterebbero un ottimo incentivo a fumare meno.
In seconda battuta, il divieto contribuirebbe a ridurre la sporcizia delle strade: il desiderio di camminare su marciapiedi più puliti, liberi dai mozziconi inquinanti abbandonati ovunque, è considerata dal 60% dei partecipanti una buona ragione per limitare la libertà d’azione dei fumatori.
Al terzo posto, troviamo l’odore di fumo, spesso subìto e quasi sempre mal tollerato da chi non ha il vizio. In fondo alla classifica si colloca, a sorpresa, l’inquinamento dell’aria. Da notare anche che solo il 34% del campione indica tra le motivazioni pro divieto il fatto che fumare in pubblico è un gesto diseducativo per i minori.
Strade più pulite e aree per fumatori
Per scattare una fotografia ancora più nitida, abbiamo chiesto agli intervistati un parere su una serie di questioni connesse al fumo all’aperto e alla possibilità di estendere il divieto. Le risposte forniscono indicazioni preziose sul sentire comune intorno a questo tema caldo.
Prima di tutto tre quarti degli intervistati sono convinti che impedire di fumare all’aperto ridurrebbe non poco la sporcizia di strade e marciapiedi, pensiero condiviso anche dalla maggioranza dei fumatori, a riconferma che la pulizia degli spazi cittadini è tra i motivi trainanti pro divieto. D’altra parte, anche l’ambiente ne trarrebbe considerevoli vantaggi. Non va dimenticato, infatti, che i mozziconi di sigaretta oltre a sporcare le strade sono tra i rifiuti inquinanti maggiormente presenti nel Mar Mediterraneo e sulle spiagge, mentre le sigarette elettroniche usa e getta sono veri e propri RAEE (Rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche), rifiuti da smaltire in modo specifico e non gettati nel bidone dell’indifferenziato o per la strada.
Per il 70% del campione, il fumo all’aperto dovrebbe essere consentito solo in specifiche aree, come avviene già per i luoghi pubblici al chiuso. Una proposta che a sorpresa trova d’accordo quasi la metà dei fumatori, a riprova che può essere letta in modo negativo (ghettizzazione dei fumatori) o positivo (spazi fumatori ad hoc invece del divieto tout court).
Due persone su tre ritengono che il fumo passivo delle e-cig sia nocivo quanto quello delle sigarette tradizionali e solo un intervistato su tre crede che impedire di fumare o svapare nella maggior parte dei luoghi pubblici rappresenti una limitazione eccessiva della libertà personale. Ma se il divieto alla fine passasse, verrebbe poi rispettato? Qui le speranze vanno... in fumo!
Negli spazi pubblici al chiuso, “vietato fumare” da 20 anni
Fumare nei luoghi pubblici al chiuso è vietato fin dal 2005. Una data storica, per i non fumatori. Il 10 gennaio di quell’anno, infatti, è entrato in vigore il provvedimento antifumo universalmente noto come “legge Sirchia” dal nome del suo promotore, l’allora ministro della Salute Girolamo Sirchia. Salutata con favore anche dai fumatori più altruisti e lungimiranti, la legge Sirchia ha sancito il divieto di fumare in tutti i locali chiusi, tranne quelli privati non aperti al pubblico e quelli riservati ai fumatori (previo il rispetto di precise norme sulla dotazione tecnica per il ricambio di aria).
D’altra parte, alcune restrizioni al fumo negli spazi pubblici al chiuso erano entrate in vigore già in precedenza. La legge n. 584 del 1975, per esempio, aveva introdotto lo stop al fumo nelle corsie di ospedale e nelle aule scolastiche, nei mezzi di trasporto collettivo, nelle sale d’attesa delle stazioni, nei porti e negli aeroporti. Ma anche nei locali chiusi adibiti a pubblica riunione, nelle sale di spettacolo cinematografico o teatrale, in quelle da ballo, nelle sale-corse in quelle di riunione delle accademie, nei musei, nelle biblioteche e nelle sale di lettura aperte al pubblico, nelle pinacoteche e nelle gallerie d'arte (pubbliche o aperte al pubblico). Una direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 1995, infine, aveva esteso il divieto ai locali destinati al ricevimento del pubblico per l’erogazione di servizi pubblici e utilizzati dalla PA, dalle aziende pubbliche e dai privati esercenti servizi pubblici.
La legge Sirchia, comunque, ha avuto il grande merito di segnare il punto decisivo alla lotta contro il fumo passivo. Lodevole, in termini di salute pubblica, ma con una pecca: riferirsi solo alle sigarette tradizionali, ma non a quelle elettroniche (come Puff, Elfbar o Vuse) e a tabacco riscaldato (tipo Iqos, Ploom o Glo), che nel 2005 non esistevano proprio. Un decreto legge del 2013 ha tentato di colmare il buco, vietando le “svapo” solamente negli istituti scolastici e nei centri per l’impiego/formazione professionale. Un po’ poco. Ma ha anche lasciato alle amministrazioni pubbliche, alle aziende, ai gestori, agli esercenti e ai datori di lavoro la discrezionalità di vietare l’uso di questi dispositivi. E molti fortunatamente lo hanno già fatto.