Stanchezza cronica, giramenti di testa, svenimenti, dolore all’addome, dolori articolari e muscolari, caduta dei denti, calo della vista e, ancora, depressione, sintomatologie temporomandibolari, perforazione di organi. Sono solo alcune delle gravi problematiche di salute che hanno affrontato diverse migliaia di donne che hanno impiantato la spirale Essure, un anticoncezionale permanente brevettato dalla Conceptus Inc., poi acquisito e commercializzato da Bayer.
Alternativa ambulatoriale all'intervento di legatura delle tube, Essure è stato proposto come sicuro, senza alcun margine di rischio per oltre un decennio. Oltre un milione di dispositivi è stato venduto nel mondo; 7.000 in Italia, rimborsati integralmente dal Servizio sanitario nazionale dal 2004 al 2017 quando Bayer ne ha sospeso la distribuzione con la motivazione di un calo delle vendite.
Come negli Stati Uniti, dove si è mobilitata anche l'attivista Erin Brockovich, in Australia, Francia, Spagna e Inghilterra, anche in Italia le donne, le cui vite sono state stravolte da questo dispositivo, chiedono giustizia. E noi abbiamo deciso di schierarci al loro fianco. Per far valere il loro diritto alla Salute e quello di tutti i consumatori.
I nostri legali stanno assistendo pro bono 18 donne in una causa civile collettiva contro il colosso Bayer (nello specifico Bayer AG e Bayer Health Care LS). Non solo. Abbiamo fatto una prima donazione di 10.000 euro e deciso di attivare una raccolta fondi per aiutarle ad affrontare le spese delle consulenze mediche e di istruttoria insieme a R.E.S.I.S.T. Italia, associazione nata con la finalità di supportare le donne impiantate e diffondere la conoscenza della tutela dei diritti delle donne nei servizi di salute.
#NonSullaMiaPelle. Serve anche il tuo aiuto!
È il momento di prendere una posizione per tutelare i diritti di ciascuno e di tutti in merito alla Salute. Partecipa alla nostra campagna di crowdfunding con una donazione online, per schierarti al fianco delle donne danneggiate dal contraccettivo e difendere il diritto alla salute di ciascuno. Le donne di Altroconsumo che hanno partecipato all’iniziativa, hanno prestato la propria pelle per dar voce a chi ha subito i gravi effetti collaterali. C’è bisogno di schierarsi perché storie come questa non siano mai più scritte sulla pelle di nessuno.
A che punto è la causa? Parla l’avvocato
Marco Stucchi (studio legale Ludolex) è uno dei legali di Altroconsumo che seguono pro bono la causa civile contro Essure. Gli abbiamo chiesto aggiornamenti sul procedimento in corso presso il Tribunale di Milano.
Avvocato Stucchi, a che punto siamo?
«La causa pendente a Milano è nella fase istruttoria: il giudice ha disposto una consulenza tecnica nominando un medico legale e un ginecologo per accertare i danni subiti dalle donne e la probabilità che questi siano collegati all’inserimento di Essure, come metodo contraccettivo. I costi complessivi, anche per i consulenti di parte, sono elevati, pertanto hanno chiesto l’aiuto di Altroconsumo per essere al loro fianco».
Cosa chiedono le donne coinvolte?
«Le donne chiedono che sia fatta giustizia e hanno deciso di iniziare questa battaglia in tribunale per ottenere il risarcimento dei danni subiti durante tanti anni di dolore, sofferenza e patimenti, che hanno pregiudicato non solo la loro salute fisica ma anche psicologica, oltre che i loro rapporti con il partner e con i famigliari».
Qual è il significato di questa battaglia, anche alla luce dei precedenti in altri paesi?
«È una lotta che le donne stanno fronteggiando in vari paesi per sottolineare la violazione del loro diritto alla salute e alla scelta di utilizzare un dispositivo medico sicuro e senza effetti collaterali. Nessuna donna, infatti, era stata informata di possibili effetti avversi gravi, che sono stati scoperti ed evidenziati da Bayer solo dopo molti anni dalla messa in circolazione di Essure, fino all’avvenuto ritiro dal mercato. Per questo motivo le donne che in tutto il mondo hanno vissuto sulla loro pelle i danni causati da Essure hanno deciso di non restare in silenzio e di condividere la loro storia».